PISTOIA NON MERITA LA LIBRERIA BABA JAGA

La mia città non merita la mia libreria. La mia città si merita di sprofondare ancora di più nella ignoranza e nel perbenismo, nel provincialismo e nell’indifferenza ipocrita nascosta fra le pieghe di istituzioni, enti, circoli, lobby, gruppi, società anonime a delinquere… e quant’altro e di più ancora. Di meno, la mia città, ha soltanto una cosa: nessuno la conosce, nessuno sa dove si trova, le sue coordinate geografiche sono ignote ai più. E’ quello che si merita, meglio così. Se ci facciamo conoscere, ogni tanto, è soltanto per le cose più infime. Come gli ultimi avvenimenti. Avvenimenti che non credo proprio abbiano scusanti, neppure fra le istituzioni, e, lo dico senza mezzi termini, neppure fra i genitori. Genitori disattenti, indifferenti, presi dall’apparire, dal viaggiare, dall’essere al passo con i tempi… mentre il loro tempo scorre e quello dei loro figli fugge.
Non venite nella mia città, fuggite se vi ci trovate a passare… datemi retta!!!
Ah… dimenticavo, la mia città si chiama… Pistoia. Non sapete dov’è??? Meglio per voi!

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giovedì 31 dicembre 2009

BUON ANNO NUOVO A CHI HA RESO MIGLIORE QUELLO VECCHIO

In mezzo al frastuono di ogni fine anno solare, fra l'imperversare di previsioni astrologiche e meteorologiche, nell'impazzare di corpi sfatti, rifatti, fritti e alla frutta, che si buttano nelle forsennate danze tribali di riti propiziatori, di menti annebbiate dai fumi dell'alcool, dall'inebetitudine di droghe della casa o alla carta, all'imbecillagine dell'umanità inetta di questo inizio millennio impregnato di disimpegni, disoccupazione, disinteresse, disinformazione, dislessia morale e intelletuale, a me non resta che tacere e acconsentire.
Sì, acconsento. Cedo a me stessa e ripudio il resto che non mi riconosce e in cui non mi riconosco.
Acconsento a manterene la mia mente lucida di folle consapevolezza, acconsento a sprofondare nella disperazione e nella rassegnazione che la via del non-ritorno è ormai una realtà e non più un reality.
Acconsento a vedere le genti per quello che sono, perchè sono proprio e soltanto quello che sembrano.
Non c'è più spazio per la vetusta scusa che dietro ogni creatura si nasconde la luce del bene, che in un angolo nascosto di ognuno di noi c'è posto anche per la compassione, nel senso di comune passione, di partecipazione al sentimento altrui, qualunque esso sia, anche il più sublime o il più infimo.
No. Niente di tutto questo fa più parte dell'essere umano. O meglio, l'essere umano non fa più parte di nulla. Il nulla ha preso il posto del vuoto che ognuno di noi aveva il dirtto e il dovere di occupare, di arredare come meglio voleva, con pensieri propri, fantasie uniche, disegni e desideri da colorare o magari lasciare in bianco e nero. E quando il nero predominava, lasciarsi andare al dolore sacro che ognuno di noi deve e può sopportare fino all'insopportabile, senza quel mostruoso obbligo di dimenticare a tutti i costi per andare avanti a testa bassa, ostinatamente verso un dove senza quando.
La rinuncia alla sofferenza, l'imposizione di esserci per esserci anche quando il tempo non ci appartiene più ma siamo noi che apparteniamo al tempo, ha reso questo mondo una terra promessa ma mai mantenuta.
Ci promettiamo e ripromettiano un futuro migliore, lo esigiamo, lo imploriamo, lo invochiamo, lo ritualizziamo, adoratori di dei scolpiti nell'argilla dorata, rivestiti di ridicoli e patetici costumi che rendono tutti uguali. L'uguaglianza del fuori ci rende soldati di un esercito di terracotta in marcia verso un forno incandescente pronto a ridurci in un fumo tossico, in una pioggia di cenere grigia che ricopre il presente rendendolo irrespirabile.

PRETENDERE UN FUTURO MIGLIORE E' DA IMBECILLI, SE NON SI E' FATTO QUALCOSA NOI STESSI PER CHE CIO' AVVENGA.

SE VI SENTITE LA COSCIENZA A POSTO, ALLORA AUGURI E SENZA FIGLI MASCHI NE' FEMMINE, CHE POSTO PER LORO NON CE N'E' PIU'!!! LO AVETE PRESO TUTTO VOI, AVETE RIEMPITO IL VOSTRO TEMPO CON IL NIENTE. IL VUTO E' RIMASTO VUOTO. AVETE CERCATO L'ORRORE, L'ORRIDO, L'ORRIBILE, IN OGNI DOVE. E LO AVETE TROVATE, PAGANDOLO A CARO PREZZO.
MA CORAGGIO... STANNO ARRIVANDO I SALDI: BUTTATEVI NELLA MISCHIA E ... VIVA L'UGUAGLIANZA, CHE RENDE TUTTI UGUALI, UNIFORMI, GRIGI... L'UMANITA' IN SALDO!!!

P.S.
AH... AUGURI DAVVERO VERI AI MIEI POCHI MA GRANDI LETTORI, CHE HANNO CAPITO CHE E' LA DIFFERENZA A RENDERE POSSIBILE L'UGUAGLIANZA!!!

lunedì 7 dicembre 2009

BABBO NATALE DA BABA JAGA

Domenica 13 dicembre, per tutto il pomeriggio, ci farà visita Babbo Natale!
Un Babbo Natale diverso, vero, buono, il nostro Babbo Natale.
Ci sarete???




Domenica 13 dicembre, per tutto il pomeriggio, ci farà visita Babbo Natale!
Un Babbo Natale diverso, vero, buono, il nostro Babbo Natale.
Ci sarete???

domenica 11 ottobre 2009

I RISULTATI DI UNA DOMENICA DA FIABA

SONO LE 19.30 DI DOMENICA 11 OTTOBRE 2009. LE CAMPANE SUONANO PER LA MESSA, LA CITTA' BRULICA... GIOVANI MALVESTITI, SIGNORE VESTITE DA DOMENICA STRUSCIANTE, SIGNORI ANNOIATI, BAMBINI ... BAMBINI E ANCORA BAMBINI.
PALLONCINI, GELATI, SCARPETTE LUCCICANTI, LUMINOSE, PASSEGGINI FUORISERIE... E CHI PIU' NE HA PIU' NE METTA E SMETTA DI LAMENTARSI DI CRISI ALCUNA.
A PARTE QUESTO... E' LA DOMENICA POMERIGGIO CHE HA VISTO LA LUMINOSA PER NON DIRE ILLUMINANTE INIZIATIVA DI LEGGERE FIABE NEI BAR DELLA CITTA'!
ED ORA GUARDIAMO I RISULTATI: BAMBINI CHE MAGARI SI FERMANO DAVANTI ALLA LIBRERIA E GENITORI CHE LI PORTANO VIA CON L'ESCA DI UN GELATO, GENITORI CHE MAGARI VORREBBERO ENTRARE E BAMBINI CHE SCAPPANO.
VOCI CHE DICONO..."LIBRI... CE HAI GIA' TANTI"! - "UN LIBRO??? QUANDO IMPARI A LEGGERE TE LO COMPRO"... E VIA DI SEGUITO...
MA COME??? E TUTTA LA MANFRINA CHE LA LETTURA, CHE LEGGERE AI PROPRI FIGLI E' EDIFICANTE, AIUTA A CRESCERE INSIEME, CHE CREA COMPLICITA', INTIMITA', CALORE... ECCETERA ECCETERA ECCETERA...
MA ANDIAMO!!! HANNO RAGIONE LORO, GRANDI E PICCINI! I LIBRI NON SI LEGGONO, I LIBRI NON SI SCELGONO FRA GLI SCAFFALI, SFOGLIANDOLI, ANNUSANDOLI, SOPPESANDOLI.... I LIBRI NON SONO POI COSI' DIVERTENTI COME UN PALLONCINO CHE SI SGONFIA O SI BUCA, I LIBRI NON SONO COSI' BUONI COME UN GELATO... (MA NON E' PARTITA ANCHE LA CAMPAGNA CONTRO L'OBESITA' INFANTILE???).
I LIBRI GLI LEGGONO CERTI SIGNORI E SIGNORE NEI BAR, DOVE SI MANGIA (APPUNTO!) UN DOLCETTO E SI ASCOLTA UNA STORIA, MENTRE MAMMA E PAPA' SI SENTONO A POSTO CON LA COSCIENZA E SI GUSTANO LA LORO COLAZIONE AL BANCO O AL TAVOLO. IL POSTO GIUSTO E' QUELLO. LE LIBRERIE A COSA SERVONO? I LIBRI, SE NON TE LI LEGGONO, CHI LI VUOLE???
MA SI'... HANNO RAGIONE LORO!!!
VIVA LA CULTURA ALLA SPINA

W PISTOIA DA BERE!!!
W UNA LIBRERIA PER BAMBINI VUOTA... VIVA LE ZUCCHE VUOTE!!! HALLOWEEN E' VICINO... ALMENO PER UN GIORNO, O UNA NOTTE.... SARANNO ACCESE!!!

P.S. SONO ENTRATI I MIEI SOLITI BAMBINI...  GRAZIE A LORO E AI LORO GENITORI

Librice Libera

AVVISO AI LETTORI

VISTA LA CLAMOROSA RIUSCITA DELL'iINCREDIBILE TROVATA DELL'ASSESSORATO ALLA CULTURA CHE  PER DOMENICA 11 OTTOBRE INVITAVA I BAMBINI NEI BAR AD ASCOLTARE STORIE, E VISTO ANCHE LA NON-PARTECIPAZIONE VERGOGNOSA DEI BAMBINI PISTOIESI AL CONCORSO "I NONNI" (A TAL PROPOSITO NON POSSO NON RINGRAZIARE LE SCUOLE DI MONTECATINI TERME CHE HANNO, INVECE, PARTECIPATO CON ENTUSIASMO E BELLISSIMI RISULTATI E PREMI IN LIBRI E NON IN PASTE E MERENDINE!), BABA JAGA HA DECISO DI INTRAPRENDERE UNA NUOVA POLITICA.
PER CHI VOLESSE ASCOLTARE LE FIABE, CHE DA SEMPRE DA NOI SI RACCONTANO, SI LEGGONO, SI LASCIANO LEGGERE... DEVE PRENOTARE, MAGARI ORGANIZZANDOSI FRA GENITORI, ECC... NON CI SONO GIORNI PREFERENZIALI, SALVO IMPREVISTI ORGANIZZATIVI O TECNICI. BASTA UNA TELEFONATA AL NUMERO 05731700999 O UN E-MAIL A BABAJAGALIBRERIA@TELE2.IT.
IL SERVIZIO RESTA COME SEMPRE GRATUITO, SENZA L'OBBLIGO D'ACQUISTO (O DI CONSUMAZIONE!).
PER QUANTO RIGUARDA, INVECE, IL SERVIZIO DI BABY PARKING, IL LASCIARE I BAMBINI IN DEPOSITO E ANDARSENE SENZA NEMMENO AVER GUARDATO FRA GLI SCAFFALI, AVRA' UN PREZZO: L'ACQUISTO DI ALMENO 1 LIBRO! CHE A GUARDARE BENE, NON E' NEPPURE UN PREZZO, VISTO CHE CHI CI GUADAGNA E' CHI LO COMPARA, IL LIBRO, NON CHI LO VENDE, CREDETEMI!
VORREI POI FAR PRESENTE, CHE I LIBRI CHE SONO NEGLI SCAFFALI DI BABA JAGA NON SONO STATI SCELTI PER CONVENIENZA (EDITORIALE, LOBBISTICA, POLITICA, DI MERCATO O ALTRO... ) MA PER CONVINZIONE CHE COMPORTA UN DURO LAVORO DI RICERCA, DI SCELTA, DI OPZIONE, SEMPRE E SOLTANTO A VANTAGGIO DELLA QUALITA'. QUINDI SARA' QUASI SEMPRE INUTILE CHIEDERE QUELLO CHE NON C'E', ORDINARLO, ECC.... SALVO, SI SA, ECCEZIONI BEN ACCETTE, ACCETTATE E CONDIVISE. MA I MIEI POCHI LETTORI LO SANNO E SANNO SCEGLIERE, CAPIRE, E COMPARARE. IL PARAGONE NON CI INTERESSA, SIAMO PER LA DIVERSITA' A TUTTI I COSTI. SIAMO DIVERSAMENTE DIVERSI, UGUALMENTE DIVERSI!
FACCIAMO LA DIFFERENZA, COME LA FANNO I NOSTRI PICCOLI LETTORI E CHI LI SEGUE DAVVERO, SENZA VOLERSI METTERE IN MOSTRA, SENZA ASPETTARE UN'OCCASIONE PER IMPORRE AI LORO BAMBINI QUELLO CHE POTREBBERO FARE LORO STESSI, A CASA, OGNI GIORNO, OGNI SERA. BASTANO POCHI MINUTI PER LEGGERE UNA STORIA AD UN BAMBINO, PER FARLA SCENDERE NEI LORO RICORDI E DEPOSITARVELA PER SEMPRE. QUEL POCO TEMPO CHE SI PUO' TOGLIERE SENZA RIMPIANTI ALLA TELEVISIONE, E MAGARI, ANCHE SE STANCHI, ADDORMENTARSI ACCANTO AL BAMBINO, SOGNANDO UNA FIABA.
NOI LO FACCIAMO DA SEMPRE E CONTINUEREMO A FARLO.
SIAMO LA LIBRERIA PER POCHI... MA QUEI POCHI FANNO LA DIFFERENZA, COME LA FA ...

BABA JAGA e

Librice Libera

martedì 6 ottobre 2009

FIABE AL BAR

Avete saputo della "innovativa" iniziativa dell'assessorato alla cultura???
Domenica 11 ottobre dalle 10 alle 11 di mattina, in molti bar della città si leggeranno fiabe!
CHE BELLO!!! Alzarsi presto, di domenica, invece di starsene a crogiolarsi nel lettone con il babbo e la mamma! CHE BELLO!!! Fare colazione seduto al tavolino di un bar in mezzo alle chiacchiere degli adulti, ascoltare resoconti sportivi e politici, invece che sbriciolare il lettone con colazione di casa!
CHE BELLO!!! Il babbo o la mamma, o entrambi, che tutti eleganti sorbiscono il loro caffè o trangugiano la loro pasterella per conto loro, mentre voi, forse ancora assonnati ma già incuriositi, ascolterete quel signore o quella signora che vi leggono una fiaba così, tanto per fare, perchè qualcuno glielo ha chiesto, proposto, o cos'altro, e credetemi, bambini, di voi non gliene importa proprio niente.
Sotto sotto, ma mica tanto sotto, c'è qualcosa... di vecchio, di stantio... di interessEnte!
Chissà perchè il comune di Pistoia aderisce a qualunque iniziativa mangereccia... (dove si mangia... D... ci 'ondua). Beh... magari dopo tutti alla messa. E poi a casa. A mangiare e dopo a sorbirsi una domenica davanti alla TV. Voi davanti ai vostri programmi, i genitori davanti ai loro. E voi dietro... indietro... dimenticati. Avete già avuto la vostra storia, no?!
Ma lo sapete che c'è un posto dove le fiabe si leggono sempre??? NO???
Beh... lo so, non lo sapete. Sono pochi quelli che lo sanno, ma posso assicurarvi che emergono dal gregge, che molti di loro hanno preso la maturità proprio quest'anno, che fra tutti potreste riconoscerli dal loro modo di distinguersi, di non far parte di quel branco che riempie il centro storico al sabato pomeriggio, giovani che non sanno di essere giovani, bambini cresciuti nei loro capi firmati, pronti per la pizza del sabato sera. Bambini che quando passano davanti alla vetrina della libreria si fermano, guardano dentro, vorrebbero entrare, bambini ancora in tempo per salvarsi... se non fosse per quella voce che li richiama..."andiamo... è tardi... che te ne fai di un libro???"

SI', E' VERO. PER LORO E' TARDI. PER LA MAGGIORANZA DEI BAMBINI, E NON SOLTANTO, E' DAVVERO TROPPO TARDI. PECCATO CHE QUELLA MAGGIORANZA SI SENTIRA' IN GRADO DI COMANDARE, DI DETTARE LEGGE, SOLTANTO PERCHE' L'UNIONE FA LA FORZA!
NELLA MIA FRAGILITA' TENACE, NEL MIO IMPEGNO ILLUSORIO, NELLA MIA ISOLACHEC'E' ci sono pochi posti, forse scomodi, forse meno facili, ma che portanto a scontrarsi con se stessi e non con gli altri, a non confondere la moda con il modo, il verbo con il parlare, il silenzio con il tacere. Chi tace non acconsente... accetta. Chi ascolta il silenzio, impara anche a parlarlo, scriverlo, a leggerlo, ma sopratutto a farsi capire dagli altri, a capire gli altri. Nella loro diversità, nella loro unicità, che ormai sono in via d'estinzione.

Con affetto sincero...buona colazione.

Libricelibera 

giovedì 1 ottobre 2009

LA FESTA DEI NONNI

VA BENE LO STESSO, ANCHE SE NON AVETE PARTECIPATO, LA FESTA CI SARA'.
SE VOI NON AVETE NONNI DA DISEGNARE, DA RACCONTARE, DA FESTEGGIARE, IO SI'!
LORO SONO STATI IL MIO NIDO, LA MIA SCUOLA MATERNA, LA MIA ENCICLOPEDIA, IL MIO LABORATORIO DIDATTICO, LA MIA LUDOTECA, IL MIO LIBRO DEI PERCHE', INFINITI COME LA LORO PAZIENZA NEL RISPONDERMI, NELLA LORO INTELLIGENZA NEL TROVARE SEMPRE LA RISPOSTA GIUSTA, NELLA LORO LUNGIMIRANZA NEL LORO NON NASCONDERMI NIENTE, LA LORO SAGGEZZA NEL MOSTRARMI ANCHE LA PARTE BRUTTA DELLA VITA, NEL PREPARARMI SENZA TRAUMI A DISTACCHI, A CADERE E A SAPERMI RIALZARE. LORO SONO STATI ANGELI CHE HANNO SAPUTO FARMI VOLARE SULLA TERRA, A SFIORARLA, A NON CALPESTARLA. MIA NONNA SE NE E' ANDATA PRIMA, MOLTO PRIMA DI MIO NONNO, AD UN ETA' IN CUI OGGI LE DONNE CONTINUANO AD ESSERE CONSIDERATE SIGNORE AFFASCINANTI. E' VOLTA VIA DOPO AVER SOFFERTO MOLTO, SENZA AVER MAI FATTO NIENTE PER ESSERE PIU' BELLA O PIU' GIOVANE. NON NE AVEVA BISOGNO: ERA RIMASTA UNA RAGAZZINA, DENTRO E FUORI.
MIO NONNO HA ASPETTATO PER RAGGIUNGERLA, SAPEVA CHE AVEVAMO BISOGNO DI LUI, SOPRATTUTTO IO, CHE CON LUI HO CONDIVIDO LA SOLA PARTE VERA DELLA VITA.
NON ERA ANCORA IL MOMENTO, E NON LO SAREBBE MAI STATO. QUINDI HO ACCETTATO IL SUO PRECEDERMI NATURALE PER RICOMINCIARE POI, A CONDIVIDERE LA MAGIA, LA FIABA, L'INCANTO.
IL 10 OTTOBRE RICORRE IL CENTENARIO DELLA SUA NASCITA. ED IO VOGLIO FESTEGGIARLO COME SI MERITA, COME UN MITO, IL MIO MITO. TUTTI I NONNI SONO MITI... O ALMENO DOVREBBERO.
FORSE A PISTOIA PREVALE IL MITO DEL NIDO, DELLA SCUOLA MATERNA, DELLE VARIE AREE, DELLA CITTA' AMICA DEI BAMBINI... E VA BENE. BENISSIMO. NE SONO ORGOGLIOSA. MA NON INVIDIO PER NIENTE QUESTI BAMBINI. LA MIA INVIDIA VA TUTTA A QUELLA BAMBINA, CHE TANTO TEMPO FA NON AVEVA A DISPOSIZIONE AREE DI NESSUN COLORE, CHE NON GIOCAVA E NON DISEGNAVA IN UN AULA, IN UN GIARDINO, MERAVIGLIOSI, TUTTO QUELLO CHE SI VUOLE... MA NON AVEVANO UN'ANIMA, UN PENSIERO, UNA CAREZZA, TUTTI PER ME, SOLTANTO PER ME.
L'INTEGRAZIONE, LA GLOBALIZZAZIONE, LA SOCIALIZZAZIONE. CI VOGLIONO, SONO QUASI OBBLIGATORI, MA SONO DAVVERO SENTITI? IO LO SPERO DAVVERO, PERCHE' TUTTI QUESTI VALORI IO LI HO IMPARATI DAI MIEI NONNI, SOPRATTUTTO DA MIO NONNO. LE SOLE DIFFERENZE CHE HO FATTO NELLA MIA VITA SONO QUELLE CON ME STESSA. LA SOLA DISCRIMINAZIONE E' STATA QUELLA FRA IL SOGNO E LA REALTA', SEMPRE A VANTAGGIO DEL PRIMO. HO IMPARATO A LEGGERE SUI QUOTIDIANI, A SCRIVERE SU QUADERNI NERI A RIGHE... E GIA' ALLE ELEMENTARI AVEVO LETTO TUTTI I CLASSICI PER RAGAZZI... GRANDI. NON ERO UN TALENTO E CONTINUO A NON AVERE NIENTE DI SPECIALE. ERO E CONTINUO AD ESSERE UNA BAMBINA CHE CRESCE QUANDO L'ERBA E' TROPPO ALTA E A TORNARE PICCOLA QUANDO INTORNO C'E' IL DESERTO DI UNA MOLTITUDINE DI VOCI CHE NON DICONO NIENTE, CHE URLANO SOLTANTO COME IL VENTO, SCOMPGLIANDO DUNE E ACCECANDO LA VERITA' DEL MARE.
SE QUALCUNO VORRA'VENIRE IN QUELL PICCOLO MONDO ANTICO, IN QUELL'ISOLACHEC'E'CHE SI CHIAMA BABA JAGA, SE UN NONNO, UNA NONNA, DEI NIPOTINI... SI RICONOSCERANNO ALMENO UN PO' IN QUESTE MIE PAROLE, VI ASPETTO A BRACCIA E LIBRI APERTI!!!

la vostra Librice Libera

giovedì 28 maggio 2009

DEDICATO AI MATURANDI 2009 E AI LORO GENITORI



E... speriamo, anche il cuore.

Vi va di ricordare alcune delle cose che ha fatto Baba Jaga per voi???
Forse, ora che siete cresciuti, dovreste chiedervi, pensando ai vostri, di figli: 
E noi, cosa possiamo fare, per Baba Jaga???

Ma non è proprio a voi, che mi rivolgo, cari ragazzi, che siete impegnati sui testi scolastici e di libri non ne volete sentir parlare... (mi auguro che abbiate capito, ormai, la differenza!!!), ma ai vostri genitori.
Vi ricordate come eravate giovani e pieni di speranze riposte in quei cuccioli selvaggi che cominciavano a muovere i primi passi, a balbettare le loro prime sillabe, a rosicchiare i loro primi libri cartonati???
No, forse avete davvero dimenticato tutto. E lo capisco. Ormai siete proiettati nel futuro dei vostri giovani adulti in cerca di una società disposta ad accoglierli.
Ma se qualcuno ricorda quella piccola libreria, più piccola del bagno grande di una casa fornita di doppi servizi, se qualcuno fra voi ricorda qualcosa... forse sarete in grado di aiutare i vostri ragazzi nella ricerca non di una società fatta apposta per loro, ma al contrario.
Guardatevi intorno, e non compiangete i vostri figli per il mondo che li sta accogliendo, dopotutto siete sicuri di aver fatto davvero quello che è e non quello che viene ritenuto giusto, per migliorarlo e renderlo vivo e non soltanto vivibile, vissuto... ovvero, morto???
Quanto tempo ci avete messo, a passare dal primo libro cartonato, profumato, sonoro, rumoroso, musicale, colorato... ad un telefonino con le stesse caratteristiche???
Avete dato modo ai vostri bambini di restare bambini il tempo necessario perchè anche il tempo potesse giocare con loro???
Quanto tempo è trascorso, dalla prima principessa di carta, descritta da sillabe in caratteri di tutti i tipi, a quella fata disegnata così stupendamente da desiderare d'incontrarla, magari in un bosco incantato alle prese con un povero lupo maltrattato da destra e sinistra?
Quando tempo avete concesso alla vostra bambina di sentirsi Cappuccetto Rosso indossando una semplice mantellina di quel colore, prima di permetterle di copiare il vostro guardaroba, per sentirsi grande e bellissima come una velina???
Da parte mia, mi auguro che i vostri figli siano rimasti, almeno in un piccolo angolo della loro mente, del loro cuore (piccolo come quella libreria nata per loro), ancora come quei meravigliosi tiranni  che pretendevano di leggere e scegliere da soli i loro libri tenendo il ciuccio in bocca, sporgendosi dal passeggino. 
Non credo che molti di voi, giovani genitori di ieri, ci siano riusciti. Sapete perchè lo penso, anzi ne sono certa? Perchè non vi ho mai più visto, se non raramente, di sfuggita. Perchè vi ho incontrato in altri posti, in altri luoghi più consoni al trend che si faceva strada e che ci conduceva verso il baratro di nullità in cui ci troviamo. Anzi, vi trovate.
Perché, per me, per quei pochi che hanno capito che non c'è niente da capire e da imparare da chi segue scodinzolando un branco, sperando di esserne accolto, pronto a fare e subire di tutto per non essere escluso, anche a costo di smettere di essere per sembrare!
Beh... a quei pochi ma buoni, che escono dal gregge creando un proprio modo di essere, che non vestono firmato ma leggono firmato, che vivono per oggi e non per un domani già fuorimoda, che sanno imporsi per la loro unicità, a tutti loro, ai miei bambini di ieri, auguro di avere, domani, figli ancor più capaci di avere e affrontare ogni paura, anche quella di essere  soli, se l'alternativa è l'unica da temere: sentirsi soli anche con se stessi, non riuscire a farsi compagnia, non accettare la propria presenza... che ha come conseguenza inesorabile, che una fuga da se stessi. E quali siano le vie più brevi di fuga dal proprio essere, lo sappiamo tutti....
Stranamente, assomigliano a quelle per avvicinarsi al proprio io, ad accettarlo, a saperlo rispettare e a rispettare quello degli altri... Perchè basta restare sulla soglia del mondo per vederlo e capirlo tutto, se sai dove guardare, se sai dove trovarti...
Chi si cerca è già perduto. Lasciamolo dov'è. Non c'è pericolo che incontri il lupo, non ci sono più lupi pronti a mangiarti. I lupi sono stati sterminati da cacciatori imbecilli, da nonne egoiste, da mamme irresponsabili (e che, si manda una bambina a portare il cibo alla nonna??? Non sarebbe meglio non tenersi la nonna in casa??? Se proprio non si può, che ne dite di una badante, anche senza il permesso di soggiorno? Tanto quello scade per tutti!!!)
 Il mondo, ormai, è pieno di figli dei tre porcellini, orami al sicuro nelle loro case ben salde, con i loro mutui soccorsi, e con la prospettiva di apparire per quello che realmente sono, maiali!!!

Chi, invece, e sono pochi, si sente perduto mentre si cerca, è già a casa e non lo sa. Ma per saperlo, non ha bisogno di un aggiunta di coraggio, di una spinta verso il baratro... basta che si volti indietro e risenta tutto il calore di un passato bambino, eterno, prepotente, tiranno... meravigliosamente vivo e puro!!!

A tutti gli altri... un augurio sincero di essere promossi perchè ve lo siete davvero meritato, non perchè avete studiato per essere promossi! 
E poi... subito dopo l'esame di stato, che ne dite, di un esame di coscienza??? Magari da fare insieme agli ormai prossimi nonni??? (attenti al lup... ops... alla badante!!!)

P.S. ah... dimenticavo! 
Sapete che è arrivata una sola partecipazione per il Concorso "Il Nonno"???
Bah... forse non sapete neppure di cosa si tratta! Che vi dicevo??? 





mercoledì 15 aprile 2009

DANIELE IL LEONE DEI LIBRI













Mamma Lucia, Nonna Luciana, la piccola Giada... e il Piccolo Grande Lettore Daniele!
GRANDI!!!


Nonna Luciana è una donna che ha saputo raccontare la lettura a suo nipote Daniele in un modo così ... così come deve essere, ecco!
Da pochi mesi Daniele ha imparato a leggere, frequenta la prima elementare ma legge come uno di terza, ma già da prima, da diversi anni, Luciana si siedeva insieme a lui ai tavoli di Baba Jaga, e instancabile, leggeva e leggeva storie al suo nipotino. Lui sembrava non solo ascoltarla, ma era come se i suoi occhi leggessero, captassero le parole, decifrassero quei simboli, avido di poter leggere come e quello che voleva lui. Anche se la nonna sceglieva bene. Oggi, infatti, Daniele, quando arriva da Baba Jaga, si catapulta sugli scaffali e legge, legge, legge... di tutto come solo un vero lettore si può permettere. (Pennac docet).
Adesso che ha una sorellina piccola, Giada, lui e nonna Luciana faranno di tutto, ci scommetto, per trasmetterle questo meraviglioso vizio... la cui dipendenza rende indipendenti! Mamma Lucia guarda i suoi cuccioli, orgogliosa e fiera, e forse nel suo cuore di mamma, ringrazia la sua, di mamma.

mercoledì 18 marzo 2009

UNA MAMMA... UNA NONNA... E UN FIDANZATO

Ad attrarlo fu un alberello di natale che cominciava a cantare Jingle Bell appena qualcuno gli passava davanti. Seduto nel suo passeggino, imbacuccato ma non fino al punto di non poter ammirare la sua faccina delicata, i suoi fini e profumati capelli biondi, e quel suo sguardo azzurro come solo il cielo d'inverno sa esserlo, senza mezze misure e con quel pizzico di prepotenza che a volte ci fa chinare la testa davanti a tanto splendore. E splendido e prepotenta era lui, il piccolo tiranno biondo, che non voleva saperne di lasciare il suo posto in prima fila davanti all'aberello. Non si stancava di ascoltare il ritornello, che alle nostre orecchie risuonava atroce! Non si curava che la mamma o la nonna, alla guida della sua carrozza, tremassero di freddo o fremessero per la fretta. Per un bambino di otto mesi non esiste il tempo, se non quello che gli appartiene e che gli permette di scoprire e di scoprirsi. Io guardava, da dentro, e sorridevo. Mi innamorai di lui. Decisi che sarebbe stato il mio fidanzato. Un breve periodo di corteggiamento, che intrapresi nella maniera più subdola e ricattatoria, ma che sapevo avrebbe avuto i suoi frutti. Ed infatti, o quando lo vedevo arrivare, spegnevo l'alberello (per la delizia di tutti) e aspettavo la sua delusione. Che non tardava a manifestarsi sotto forma di nube improvvisa che oscurava tutto l'azzurro nei suoi occhi. Lo guardavo per un po', mostrandomi comprensiva, solidale con lui, mi chinavo sul passeggino e cercavo di consolarlo dicendogli che se lui avesse voluto, l'alberello avrebbe ricominciato a cantare. Al suo assenso, al rischiararsi di tutto il suo volto, senza farmene accorgere, continuando in quella specie di magia che sarebbe diventata, a poco a poco, tutta nostra, premevo l'apposito interruttore e chiedevo a quello straordinario bambino di fare un segno, di ordinare all'alberello di cantare. E lui, intelligente, acuto, e forse già in grado di accondiscendere alle stupidaggini degli adulti per soddisfare le sue esigenze, eseguiva. Un sorriso furbo e al tempo stesso così puro accompagnava il battito delle sue manine. L'alberello cominciava a danzare e a cantare. Come lui, come quel bambino. Che diventava danza e musica. Oro e lapislazzuli nei suoi capelli e nel suo sguardo. Io guardavo la mamma e la nonna. Sui loro volti si rispecchiava lo stupore di riscoprire insieme a quel loro meraviglioso bambino la magia di un tempo. Le vere bambine erano loro. Ed il loro piccolo principe tiranno era già il piccolo uomo che ormai è diventato. Fu così che conquistai il cuore del mio fidanzato, come lo chiamavo, dopo aver chiesto, si sa, la sua mano alla mamma e alla nonna. Quella mano mi fu accordata, insieme alla promessa di una visita quotidiana in libreria. E quelle visite ci furono, le promesse mantenute. Ogni mattina, accompagnato dalla nonna, il mio fidanzato arrivava, da prima in passeggino, da dove pretendeva di scendere subito e di gettarsi per terra da dove coglieva i libri dagli scaffali più basti, accatastandoli, mostrandoli a me a alla nonna, per ognuno di loro un'esclamazione diversa, un sorriso o un diniego. Cominciammo a capire i suoi gusti. E ci adeguammo. Io mi adeguai, con tanta gioia, (avere un fidanzato giovane ti obbliga a sentirti e a comportarti come giovane), a nascondermi in scatole di cartone immense, colme di polisterolo. Nevicava anche in primavera e in estate, in quella piccola libreria. C'era spazio solo per noi e per i libri. Ma quando ci si mette di mezzo la magia, tutto è possibile. Anche nascondersi nell'aria, volare su un tappeto, nuotare in un mare disegnato sulla pagina di un libro,nutrire uccellini, pesci ed elefanti di uno zoo cartonato, aiutare i porcellini a costruirsi una casa, ridere quando il lupo cade nel pentolone, ma che poi si salva, povero lupo, solo che resta con il culetto bruciato...
E poi venne Capitan Uncino e il Coccodrillo che faceva tic tic e faceva tanto ridere. Passò l'estate, il primo incontro fra il bambino e il mare, e fu amore a prima vista. Nel suo tempo senza tempo aspettava domani per tornare a giocare con le onde e la sabbia, insieme all'adorato nonno. E arrivò l'autunno, caddero le foglie e i fogli dei libri che sfogliavamo aumentavano di gionro in giorno. E i libri e le storie che mamma Giù comprava per il suo bambino divennero tante, ed ogni sera ne raccontava una nuova al suo bambino, che il mattino dopo veniva da me con nonna Brù a raccontarmi tutto, perchè adesso, il mio fidanzato era davvero grande tanto da voler leggere anche in bagno! Ero orgogliosa di lui. Poi cominciai ad essere gelosa. Mamma Bru lo portava spesso in quei posti dove i bambini si incontrano per giocare, imparare, disegnare, sporcarsi, correre, piantare fiori, costruire castelli... con la sabbia e in aria, insieme alle mamme, alle nonne e alle insegnanti. Ma sopratutto insieme alle bambine. E fu allora che il mio fidanzato si rese conto che le principesse non esistono soltanto nei libri, anzi, quelle che si incontrano fuori sono ancora più belle e più brave a giocare. E non si addormentano nei boschi, non mangiano mele avvelenate, ma ti danno la mano e fanno il girotondo insieme a te. A volte sono prepotenti, a volte ti fanno anche piangere, ma poi tutto passa. Si fa la pace e si torna a girare... pagina e giorno. E la fiaba continua. Ma la prima parte della mia finì. Ormai non ero più la sua fidanzata, anzi, guai a dirglielo. Non voleva proprio sentirselo dire. Fingevo di restarci male... e lui fingeva di crederci. Anche questo era un modo per giocare, anche se, da parte mia, la consapevolezza di non essere più la sua compagna di giochi preferita, dopo la sua famiglia, di essere stata spodestata dalla compagna di turno, mi fece capire che ogni gioco ha una fine. Ma anche un fine. E il mio l'avevo raggiunto, ne ero certa. Quel bambino sarebbe diventato un bravo scolaro, un figlio ubbidiente, un nipote dolcissimo. E così è stato.
Intanto, la piccola libreria e lui, il piccolo Luke crescevano. L'una soltanto in superficie, l'altro anche e sopratutto, nel profondo di se stesso. Libri su libri, fiabe su fiabe, personaggi su personaggi, storie su storie... costruiva la sua storia, insieme alla sua mamma e ai suoi nonni.
Una mamma come ce ne sono poche, che per il suo bambino non si stanca d'imparare ogni giorno qualcosa di nuovo da insegnargli, da condividere, da fare insieme. E i suoi nonni... una nonna sempre presente, che si è adeguata agli interessi del piccolo, ma non per dovere, per convenzione, ma proprio perchè si diverte, nonostante faccia di tutto per dimostrare il contrario. A me non la dà a bere... e neppure a Luke, che infatti si diverte un mondo a giocare con sua nonna con i giochi più moderni e impensabili. Una nonna che sa quanto mi manchino quei giorni e quanto mi manchi quel bambino, che un giorno riempiva la mia piccola libreria soltanto con il suo sguardo incantato e incantevole, e proprio per questo ogni tanto viene a raccontarmi di lui, ed io ascolto, come fosse una fiaba. E forse lo è stata. E lui è stato il primo protagonista, il personaggio più importante. Quello che ha dato il via alla mia avventura, alla mia battaglia per far sì che tutti i bambini possano avere un posto dove dimenticare, almeno per un poco, la fatica di diventare uomini e continuare a sognare di avere per sempre un cuore di bambino.
Ma chi sogna sono soltanto io... ed ogni giorni mi risveglio e mi ritrovo nell'incubo di una libreria quasi vuota. Una libreria per bambini! Come suona male, come stride con tutto il resto questa frase: UNA LIBRERIA PER BAMBINI VUOTA! Che tristezza, che malinconia... ogni speranza di un futuro in mano a uomini liberi di mente, di spirito, è destinata a morire.
Come forse accadrà a Baba Jaga. Ci sto mettendo tutta me stessa, anche di più. Quel che resta è solo un sogno. Ma anche se tutto questo finirà... sopraffatto dal consumismo, dall'apparenza, dal sembrare e ogni bambino sarà destinato ad essere, in fine, un uomo solo con quel poco di se stesso che gli resta... a me resterà sempre il ricordo di quel bambino biondo, dagli occhi di cielo e dallo sguardo deliziosamente prepotente, che si fermava incantato davanti ad un alberello di Natale, in quel Natale che era per lui e per la libreria, il primo. Altri ne seguirono... sempre belli, sì, perchè fino a che entrerà una mamma per mano al suo bambino, per scegliere un libro da leggere insieme la sera prima di dormire... forse non tutto è perduto. Non per tutti, almeno.
Grazia mamma Giù... grazie Nonna Brù... ma soprattutto grazie a te... piccolo grande uomo, che stai percorrendo le strade della vita ad occhi e mente aperta sulla realtà, che sai quello che vuoi, che a volte lo pretendi, ma che sei sempre lo stesso di allora, che sa dove andare a nascondersi quando la realtà magari pesa troppo, o quando la voglia di credere ancora nell'incanto della magia si fa avanti... e tu non ti tiri indietro ma ti nascondi e... sogni...



lunedì 16 marzo 2009

BABA JAGA - LA STORIA (ma prima leggi la preistoria!)

COME ERAVAMO (indovinateci... )

Se il trasloco era stato facile, visto che non avevamo niente, a parte la cassa, vuota, il seguito si dimostrò subito faticoso. Specialmente per me e Pietro. Dopotutto siamo gli acculturati di famiglia, e quindi la parte bibliotechistica ci toccava di merito.

Un merito che avrebbe dovuto farci guadagnare una medaglia, come minimo.

Dalla mattina alla sera giravamo per tutti i super, iper, extra, mercati della città e provincia, in cerca di prosecchi. Eravamo ubriachi… di stanchezza. Trasportarli, infatti, e montarli, non era proprio come bere un bicchier d’acqua… e neppure di vino, visto che si trattava, anzi si tratta, di scaffali in truciolato pressato, squarciati in assi pesantissime, da trasportare, scartare, montare, avvitare, ecc…Per i primi prosecchi, che trovavamo abbastanza facilmente, non ci perdevamo nei dettagli delle misure, ce li caricavamo in macchina, incastrandoli e incastrandoci. Pietro guidava senza vedere niente, io gli facevo da navigatore, nascosta sotto un cumulo di assi incellofanate che sporgevano dal portatagli, dai finestrini, e perfino dal tubo di scappamento sotto forma di segatura. Lasciavamo le nostre tracce come una carrozza a cavalli.

Trotta trotta facevamo la spola dal nostro negozio, che per adesso conteneva solo la nostra passione per i libri e il nostro entusiasmo. Beh, i libri sarebbero arrivati appena Mr. Benelli avesse ricevuto il via libera, l’entusiasmo intanto si stava materializzando sotto forma di sudore, lividi, graffi, e stanchezza.

Ma non c’era tempo da perdere, Natale si stava avvicinando a passi da gigante. E noi, piccoli puffi blu dalla rabbia di non farcela in tempo, lavoravamo come i sette nani e Biancaneve messi insieme. Ma otto non bastavano, assoldammo un principe, anzi una principessa. Che guarda caso passava proprio dalle parti di Pietro, e sembrava trovarle confacenti, come Pietro sembrava non disprezzare affatto il profilo panoramico della principessa.

Se prima eravamo in otto, adesso eravamo in nove. Diviso tre, fa tre, appunto. I conti tornavano. Almeno quelli. Ma il conto dei prosecchi sembrava non aver fine. Come sembrava impossibile che quei dodici metri quadri scarsi di negozio, potessero contenere così tanti metri di truciolato.



La libreria si stava sviluppando a vista d’occhio, sotto i nostri sguardi annebbiati dalla fatica, dal sudore, e dai morettini che avevamo adottato per porre fine ad una giornata di duro lavoro, o per porre fine ad una cazzata in corso. I morettini altro non erano che pinte di birra con i baffi di schiuma.

Fra prosecchi e birra, sudore e stanchezza, non ci accorgevamo del freddo che stava arrivando di nuovo. E con l’autunno arrivarono anche i libri. Che ci caddero addosso come le foglie. Un giorno aprimmo la porta del negozio e ci rendemmo conto che non avevamo imparato a contare.

Trenta milioni di vecchie e care lire di libri in scatola avevano occupato l’intera superficie calpestabile e non. Calpestandoci a vicenda, ci inoltrammo in quella cartolandia mostruosa, tutta da spacchettare, decifrare, dividere, classificare, e soprattutto imparare a conoscere!

Ci rendemmo conto della nostra ignoranza in fatto di libri per bambini appena aprimmo la prima di una serie infinita di scatoloni. Dov’erano finite le vecchie fiabe che da sempre accompagnavano la fantasia dei bambini? Dov’era Cenerentola? Scoprimmo che era andata a cena dalle sorellastre e dai cognatacci, come appunto ci indicava un libro dedicato alle ragazzine, dal titolo inquietante “Cenerentola torna a casa per cena…”. Il libro faceva parte di una collana dedicata alle bambine che orami sapevano tutto della vita… dei protagonisti delle vecchie fiabe, e ormai s’interessavano anche dei fatti degli altri... personaggi. La collana era intitolata, e dico ero perché non l’ho più sentita nominare, “… Indovina che fine ha fatto…? E ad ogni uscita si poteva sapere, finalmente, che fine avevano fatto I sette nani, Gli stivali del gatto,I materassi della principessa, (… ) ecc…

Fu così che mi convinsi di non essere stata una bambina “anormale”, perché non avevo amato troppo le fiabe classiche, ma mi ero invece buttata oltre cortina, amando spassionatamente le storie di steppe e streghe. E quindi, non fu un caso, che il nome che decisi, insieme a Pietro, di dare alla nostra nuova libreria, fu proprio Baba Jaga. Ah... la cara vecchiaccia che mi aveva fatto compagnia durante i miei brevi anni di praticantato nel regno della fantasia, infatti passai presto, molto prima degli altri bambini, al professionismo. Con la differenza abissale, che ancora non si è colmata, di



LA PREISTORIA DI BABA JAGA





Da quale mano, se non dalla mia, poteva essere scagliata la prima pietra?

Va da sé , che fu la prima di una serie infinita, che ancora continua a ricadermi addosso, sotto forma di calcinacci e mattoni. Lapidarsi e dilapidarsi, non è da tutti. Infatti, è da noi!

Già, perché da quella prima pietra ebbe inizio la nostra intifada!

Era una sera di novembre, me ne stavo tranquilla sul divano-letto-cuccia a tentare di suonare sulle corde della mia chitarra Per Elisa, la quale non mi cagava di striscio, intenta com'era a chiacchierare con il suo Lud, che a sua volta non l'ascoltava per altri motivi a tutti ben noti fuorché ad Elisa, ché non c'è più sordo di chi non vuol sentire ! Dunque, fra un la minore e un mi cantino, fra un abbaiare maggiore e un miagolio diesis, accovacciata in posizione yoga nel mio pigiama extra-large di peluche e di peli dei più disparati colori, venni fulminata da una nota intonata, da un accordo ben riuscito. La folgore doveva avermi ridotto in cenere anche il cervello. Alzai gli occhi su mia sorella che stava leggendo il suo terzo libro su padre Pio. Anche lei, dopotutto, era stata folgorata sulla via di Damasco, visto che la lettura per lei significa soltanto una perdita di tempo peccaminosa, che si rifiuta anche di leggere le etichette sui barattoli perfettamente uguali del sale e dello zucchero, preferendo bere una bevanda al cloruro di sodio piuttosto di mettere insieme quattro lettere dell'alfabeto nel giusto ordine. Quella sera, invece, andando contro alla sua ferma decisione di adottare un cane guida e un bastone bianco, piuttosto di mettere in vetrina i suoi bellissimi occhi scuri, indossava un paio di occhiali da mille e una notte, costosissimi, firmati, e forse non pagati ma chiesti solo in prova. A lei nessuno sa dire di no, il suo charme sconfina oltre il mistero. Quel mistero che l'avvolgeva anche in quel momento, mentre leggeva con aria indecifrabile le sacre pagine.

- Che ne dici di fare un banchetto per Natale ? - la mia frase avrebbe colto di sorpresa chiunque, tranne lei. Impassibile, sfilò gli occhiali prima ancora di aver alzato gli occhi dal libro. Non avrebbe sopportato di tenerli neppure per sfogliare pagina, e forse, se continua ad allenarsi, entrerà nel Guinnes dei Primati, riuscendo nell’impresa di sfilarseli negli spazi fra parola e parola !

Mi guardò senza palesare alcuna sorpresa, e soprattutto, non fraintendendo la mia frase, come chiunque altro avrebbe giustamente travisato. Tutti, tranne lei, sarebbero allibiti. Una simile frase sarebbe rimasta negli annali della famiglia, o forse sarebbe passata alla storia del ventesimo secolo insieme ad altre più celebri e famose ma molto meno eclatanti, se il suo significato fosse stato quello letterale. Ma non addentriamoci nel merito, altrimenti si toglie tutta la suspence alla nostra storia. Già gli indizi sono molti, troppi. Dunque, torniamo a quella fatale sera di novembre del secolo scorso ... come passa il tempo ... Beh ... una banalità fa sempre bene a riportarci con i piedi per terra. Magari li avessi avuti io, quella sera, i piedi per terra. Invece li avevo sotto le ginocchia o chissà dove, attorcigliata come sempre intorno a me stessa. Forse dovevano essere informicoliti e non li sentivo, altrimenti, pur avendo sempre la testa in soffitta, ero l'unica in famiglia che, quando era necessario, scendeva in cantina a controllare le riserve. E quella sera, nonostante me ne stessi incosciente come Nerone a suonare mentre Roma bruciava - magari fosse stata Roma, invece a bruciare erano tutte le nostre risorse economico-familiari - fra le righe del pentagramma, avanzavano come valchirie le dolenti note, sovrastando qualsiasi accordo, con il loro disaccordo, anzi, la loro deplorazione. E la folgorazione che mi colpì mi sembrò come manna caduta dal cielo dei folli, le cui nuvole colme di cazzate mi sovrastano sempre. Ed io, che non sopporto l'ombrello, mi lascio bagnare da qualsiasi guazza o nubifragio. E quello che mi cadde addosso quella sera non aveva niente da invidiare al diluvio universale. Anzi, forse qualche invidia l'aveva, visto che si presentò sotto le false spoglie di un acquerella di primavera, forse per impedirmi di costruire un'arca e di mettere in salvo non i miei animali, che erano troppi anche per il Titanic, ma almeno una fotocopia del mio cervello, che ormai stava andando in cocci. Quei cocci che avrei pagato a caro prezzo. Che fossero miei me ne poteva fregare di meno, non sono buona ad incollare neppure un francobollo su una busta, per questo uso la posta elettronica, figuriamoci a rimettere insieme un'esistenza. Perché era quella che stavo mettendo in gioco quella sera, anche se la consapevolezza se n'era andata in vacanza su un altro pianeta, per fare ritorno ormai con la data di scadenza scaduta. E non era solo la mia esistenza che mi stavo giocando, ma anche quella della mia famiglia, che, chissà perché, solo quando sono in preda a raptus improvvisi e straordinari di qualsiasi tipo, mi asseconda. Forse per paura, anzi, senza forse. La mia follia di ogni giorno passa inosservata come un milione di albanesi in Italia, mentre le mie fondamenta di saggezza, colpiscono come due albanesi in Albania ! Uno passi, qualcuno deve pur restare a casa ad innaffiare le piante, mentre gli altri sono a grattarsi le palle in crociera coast to coast. Insomma, alla luce fioca e rilassante di un abat-jour, al suono rauco e stonato di una chitarra, gettai un altro seme della mia follia, come se i campi sterminati e rigogliosi non mi dessero abbastanza da fare. Come coltivatrice diretta filavo più di un pendolino senza fermate. E infatti, neppure quella sera, mi fermò nessuno. Purtroppo.

Con il suo sguardo disarmante, ancora sperduto nei miracoli della fede, mia sorella mi guardava, forse senza vedermi, ma io sapevo che avrebbe ascoltato senza interrompermi, anche perché così avrebbe avuto modo di ripensare a quello che aveva appena letto, in santa, anzi, beata pace !

Allora, dopo aver glissato un la minore, quello che mi riusciva meglio, iniziai ad esporre la mia idea, che nella mia testa ormai si era già concretizzata. Non vedevo ostacoli di sorta, nessuno mi avrebbe fermato. Al niente non pensai, e quello fu l'errore fatale.

- Che ne dici se mettiamo un banco in centro, nel mese di dicembre ? - esordii.

- E che vendiamo ? - domandò mia sorella fissandomi interessata e perplessa allo stesso tempo. Non è facile interpretare quello che pensa, figuriamoci quello che non pensa. Perché in quel momento, ne ero certa, pur ascoltandomi, pensava ai fatti suoi e a quelli di Padre Pio, non sono sicura in quale odine.

- La roba di Davide, no ? ! - risposi come se mi avesse fatto una domanda insensata. Senza pensare che la sconsideratezza non stava nel quesito più che ragionevole, ma proprio nell'interrogativo stesso, al di là di tutto. Lei si era limitata a chiedere cosa, non a chiedermi cosa mi era saltato in mente ! L'adorai e l'adoro anche per questo.

- La roba di Davide ? Già. Ma ce la dà senza pagare ? - ecco, questa è lei. Non si stava ponendo altri problemi logistici, come invece non stavo facendo neppure io, ma si preoccupava di avere la roba gratis. A pagare c'è sempre tempo, è il suo motto preferito, e non si limita a filosofeggiare lei, ma lo mette davvero in pratica.

- Telefoniamogli subito. Chiamalo tu, tu sai come trattare queste cose. Il numero è ... -

E disacciambellandomi (voce del verbo sciogliere le ciambelle, anzi, gli indugi), corsi a prendere il cordless e a portarlo a mia sorella perché eseguisse la telefonata. Con il telefono fra le mani e il mio respiro sul collo, lei fece il numero, e ascoltando gli squilli mi chiese, inopportunamente, visto che se Davide avesse risposto non avrei avuto né il tempo né il modo di risponderle esaurientemente :

- Ma cosa gli dico ? Che vogliamo la roba, ma quanta ? E che la vendiamo, a chi ? E dove ? E dove lo mettiamo il banco ? - A quel punto le mie preoccupazioni in merito ai suoi quesiti scomparvero. Davide forse non c'era, altrimenti avrebbe risposto. Decisi di non sottoporre oltre il mio cervello a sforzi inutili. Non se ne sarebbe fatto niente, lo sentivo. Se non riesco a concretizzare le mie folli idee in contemporanea, queste svaniscono, andandosi a nascondere nell'angolo più buio della mia mente, il più insidioso, dove nessuno osa addentrarsi per paura di non uscirne più fuori, quello della mia saggezza ! Non se ne sarebbe fatto niente di niente. Domani, fra me e il proposito di risollevare le risorse economiche della mia famiglia, si sarebbe innalzata la barriera della ponderatezza, che avrebbe spento tutte le fantasmagoriche luci che mi stavano abbagliando la mente. E invece qualcosa volle metterci il becco, e quando ormai ero rassegnata a suonare per Elisa, Davide rispose. Elisa trasse un sospiro di sollievo. L'esordio di mia sorella fu allucinante.

- Bene, grazie. Senti Davide, io e Rita vogliamo vendere la tua roba. Quanta ce ne dai ? Ce la fai pagare dopo averla venduta ? Quando ce la porti ? Certo che sappiamo dove venderla. Su un banco. Dove ? In Centro, o dove se no ? Il permesso ? Che permesso ? Rita, ce l'abbiamo il permesso ? -

A quel punto, da protesa verso di lei in ansiosa attesa, mi ributtai all'indietro sul divano-cuccia, provocando una giustificata ribellione da parte di Brina, la bionda, che uggiolò e scese a terra rassegnata. Come me. Non che fossi rassegnata, ma a terra ero dovuta scendere. Il permesso. E chi ci aveva pensato ? Davide, e chi se no ? Sempre precisino, scrupoloso, accurato fino all'eccesso, cazzo ! Scusatemi, ma quando ci vuole ci vuole. Ma guarda se uno deve preoccuparsi di queste minuzie. Infatti io avrei continuato a fregarmene, restandomene fra le mie soffici nuvole. A costringermi ad atterrare non era stato il problema del permesso, ma di Davide, che senz'altro lo avrebbe preteso prima di affidarci la roba.

- Ah, basta andare in Comune ? Si paga per averlo ? - mia sorella non si preoccupava altro che di non pagare. Ma io avevo sentito abbastanza. Bastava andare in Comune ? Sarei andata anche in comunità, pur di poter riuscire a vendere la roba ! E ci andai la mattina seguente, senza indugi. In Comune, per il momento. Per la comunità c'era tempo.

Non ero ancora fatta. E non avevo ancora fatto nulla. Tutto doveva ancora iniziare.

Il primo buco avvenne in circoscrizione, fra emigrati di tutti i colori e italiani di un solo colore, nero incazzato. Io e mia sorella entrammo con l'entusiasmo tipico del Maracanà dopo un goal del Brasile. Ma l'arbitro, incosciente e impavido, ci annullò. Ci avvicinammo all'intrepido cornuto e chiedemmo spiegazioni. In un italianoide incomprensibile, con una faccia impassibile che invitava a sporgere anche l'altra mano per schiaffeggiarla, ci fece capire che come minimo dovevamo possedere i requisiti necessari per vendere la roba. Quali? Ma niente di più semplice. I ricavati dovevano andare in beneficenza …

- Ma certo. Non volevamo dirlo, sa per discrezione. Ma dobbiamo aiutare un'amica in difficoltà … - stava dicendo mia sorella, con tutta tranquillità e con la sua espressione più accattivante. Mi voltai a guardarla, fulminandola con lo sguardo. Difficile, lei non si lascia trapassare, non mi vide proprio. Il fulmine cadde ai miei piedi, che io continuavo a fissare aspettandomi di vederli andare in fumo con tutti i miei progetti. Non ascoltavo altro. Sentivo solo che l'arbitro cornuto si congratulava con mia sorella così tanto da far pensare che non le sarebbe affatto dispiaciuto, per una volta, che ad essere cornuta fosse sua moglie. Ancora una volta mia sorella aveva colpito. Una signora dietro una scrivania celava, dietro un kleenex ed un ipotetico raffreddore, la commozione che le parole di mia sorella le avevano procurata. Parole che io non avevo ascoltato, ma che potevo immaginare. Uscimmo dal Maracanà applaudite dai guardalinee, osannate dagli spalti, invidiate ma rispettate dagli avversari, che non protestarono per quel goal da prima annullato e poi convalidato. Ma io sapevo che la partita non era finita. Era stata solo sospesa per maltempo. Pioveva a dirotto. E come un diretto mi avventai su mia sorella:

- E adesso? Ma cosa ti è saltato in mente? Quale amica da aiutare? Che cosa ci inventiamo? -

- Non preoccuparti. Che ne sanno loro?- rispose tranquilla, accendendosi una sigaretta.

- Ah, sì? Non mi preoccupo, va bene. Ma ricordati che porta male fare queste cose … - lasciai la frase a metà. E le tolsi dalle mani la metà della sigaretta, fumando tranquilla io, adesso.

- Dici? Porta male? –

Sapevo di aver colpito nel segno. Mia sorella passerebbe su tutto, passa su tutto, come uno schiacciasassi, ma non transige sulla superstizione, sulla iella, sulla sfiga insomma! Ha più amuleti lei che uno stregone pellerossa. Senza contare che mischia con disinvoltura il sacro e il profano. L'effige di Padre Pio è in perenne contatto nel suo reggiseno, chiuso in un sacchetto rosso, con il talismano dell'amore, immersi in un gruzzolo di semi di grano. L'insieme dovrebbe assicurarle benedizione celeste, amore coniugale, e prospettive rosee di prosperità. L'importante è crederci. Fede e speranza, più che altro. Per la carità, non c'è più posto nel suo cuore … ops … nel suo reggiseno.

- Allora lasciamo perdere … banco e chicchi! –

Per chicchi intendeva la roba. Ma io non avevo intenzione di lasciar perdere una sega. Ormai volevo il mio banco, a costo di vendere sottobanco!

- Nemmeno per idea! Oggi telefono ai vigili urbani, magari al sindaco. Cazzo, Carlo non dice di conoscere tutti? E allora me lo dimostri. Voglio la prova d'amore. O divorzio! – ero così convinta di quello che dicevo e pensavo che mia sorella, accendendosi un'altra sigaretta, sbuffando fumo disse:

  • Povero Carlo … ma come fa? – lei difende sempre il povero Carlo.

La sua è un'auto difesa ad oltranza. Si vede che il vecchio detto Dio li fa e poi li accoppia non aveva funzionato. Dio si era distratto o si era fatto i fatti suoi, lasciando a noi il compito di scoppiarsi. Dopo essere scoppiati. Ma intanto resistevo come un palloncino gonfiato fino all'estremo. Ma non avevo nessun'intenzione di scoppiare, bensì di sfuggire dalle mani che mi trattenevano per un filo tenue, invisibile ma resistente, che ad ogni mio tentativo di allontanarmi un poco mi riportava al passo con i tempi. E che cazzo! Mi sentivo un cagnolino cui veniva tirata la coda solo se gli andava di pisciare un poco più in là per la sua privacy!

Ubbidire, fare cuccia, correre dietro all'osso, riportarlo … si poteva, si può anche fare, o fingere di fare, tanto gli uomini non capiscono una sega, non si rendono conto se ti accontenti e godi, o se fingi di godere solo per accontentarli, ma cazzo, non provate a togliermi il mio diritto a svuotarmi le viscere e la mente in santa pace! E invece No! Mi si segue anche al cesso, magari per portarmi il cordless e rispondere ad una chiamata molto meno urgente dei miei bisogni fisiologici. E con il cordless, se tiri la corda del water, si sente. Anche se, devo dire la verità, a volte lo faccio di proposito a tirarla, così, senza parole, mando l'interlocutore dove forse già si trova.

Ma ecco che ho riperso il filo, anzi la cima della corda. Vediamo di ritrovarla. O non si salpa più. Ma quella mattina decisi di issare le vele, che altro non erano che gli stracci di un naufrago. E con le brache issate sulla zattera salpai per i sette … mila mari! Come tutti i folli mi raccomandai al dio degli incoscienti che a sua volta mettesse una parola buona con Nettuno perché si desse una regolata, perché oltretutto non sapevo nuotare. Del salvagente me ne fregavo, che affogassero pure tutti. Se proprio dovevo colare a picco, che colasse Sansone e tutti i Filistei.

Ma io non dovevo sacrificare né calare le mie chiome da un balcone, erano le mie idee che dovevano fluire come fiumi di idee. E la prima goccia nel mare in cui stavo navigando senza radar, la versò mia madre. E fu quella che fece traboccare il vaso vuoto. Che non tardò a riempirsi. Perché invece di un banchetto, non cercare un piccolo locale e aprire un negozio? Perché no? Perché si? La domanda era facile, la risposta non altrettanto. Fortuna volle, o sfiga secondo i punti di vista, che Carlosotuttoio Manfacciomainiente, alias Arrangiatevi, ci disse che c'era in affitto, proprio a pochi metri da casa, un locale. Lo spedii a prendere il numero del telefono scritto sul cartello affittasi, rimproverandolo di non averlo fatto prima. Alla sua ingiustificata risposta che lui non poteva sapere, non replicai perché non ne avevo voglia, troppo presa com'ero a scoraggiare tutti, che sarebbe stato troppo caro senz'altro, che non potevamo permettercelo, che era meglio il banco, che a me piaceva stare con i barboni, specie nell'inverno … ecc… Stavo scoraggiando me stessa, perché agli altri non fregava proprio niente! Comunque, a scanso di equivoci, mandai anche Brina. Oltre a dover espletare i suoi bisogni fisiologici, che già aveva espletato a metà in casa, di lei mi fidavo più che del coniuge, che sta ai numeri telefonici come un senzatetto sta a casa. Tornarono scodinzolando e facendo le feste. Gli zittii, li mandai a cuccia e telefonai. Tutti erano in silenzio, pendendo dalle mie labbra, che ancora non dicevano niente, visto che ascoltavo il segnale di libero. Si muovevano quelle di mia madre, in compenso, che riuscì a dire in un nanosecondo: "se non vogliono più di cinquecentomila lire prendilo. Non fartelo scappare. Anche se non mettiamo su il negozio, ci fa comodo. Non possiamo farcelo scappare …"

Sarei scappata io, quando sentii alzare la cornetta dall'altra parte. Qualcosa dentro di me mi diceva che in quel momento non dovevo essere lì. Ma c'ero. E mentendo dissi: Pronto!

Se c'era qualcuno meno pronto, quella ero io. Avrei potuto riattaccare, nessuno me lo avrebbe impedito, se non il pensiero che mia madre avrebbe richiamato. Anche se a quel punto, sarebbero stati cazzi suoi. Io mi chiamavo fuori gioco. E invece giocai al buio. Gettai sul piatto il mio futuro in una sola mano. Il prezzo era intorno alle seicentomila trattabili. Si trattava solo di andare a vedere il locale, di cosa si trattava, insomma. E di trattare ad oltranza.

Andammo tutti! Noi non facciamo mai niente se non in gruppo … e la decisione va presa all'unanimità … se non c'è (l'unanimità), si passa all'umanità … al quorum … in poche parole, decide mia madre per tutti! Sparpagliati, vocianti, in disaccordo prima ancora di prendere gli accordi, ognuno dicendo la sua, costruendo castelli in aria e distruggendoceli a vicenda , ci incamminammo verso la meta. Avrei potuto dire la Mecca, o la Grotta , ma gli avvenimenti che seguono me lo impediscono, non mi va di fare la blasfema né contro Dio né Allah, né altre divinità. C'è la rima? Ce la lascio. Tanto ci stavo già lasciando le penne , e non solo in senso metaforico.

La nostra gita fuori porta si concluse in pochi istanti , appena qualche metro fuori della nostra porta, appunto. All'angolo della strada svoltammo … eh …

E’ proprio vero che non si sa mai cosa ci sia dietro l'angolo!

Quel giorno, per noi, c'erano due o tre donne, non ricordo, tanto erano uguali nel loro modo di essere, quindi tralascio le descrizioni che annoiano tutti e non servono a nulla, le descrizioni fisiche intendo. Comunque erano brutte e antipatiche e soprattutto in pelliccia! La pelliccia più spelacchiata non si chetava mai, continuava a descrivere quello che era sotto i nostri occhi, e cioè una piccola stanza rettangolare con i lati più lunghi molto più lunghi di quelli corti … ma che cazzo sto dicendo???

Sto descrivendo. E non ci riesco. Insomma, la stanza era piccola ma i soffitti molti alti, in mattoni, antichi … e … meraviglia delle meraviglie, un minuscolo soppalco con ringhiera da raggiungere attraverso una scaletta in legno. La soffitta!!! Per me quella era una soffitta. Vi salii subito, lasciando gli altri a non ascoltare le pellicce parlanti e a litigarsi fra loro, come sempre. Chiamai Pietro per toglierlo da quella situazione e per mostrargli il tesoro. Mi raggiunse subito. Ci guardammo, e la nostra espressione bastò a farci capire che quello era il posto giusto! Che stava aspettando proprio noi. Che niente ci avrebbe fatto cambiare idea! Che …

- Che??? Che volete??? – risposi affacciata alla vecchia ringhiera di ferro battuto, dall'alto della nostra soffitta.

- Come "che"? Invece di fare gli stupidi lassù, scendete, che la signora vuole parlarvi, discutere di tutto. – disse mia madre guardandomi dal basso in alto. Le cadde il cappello dalla nuca e i capelli che teneva raccolti sotto, si sciolsero. E quando ha la chioma al vento, è bene ubbidire. Ma io non avevo niente da discutere. Sapevamo a quanto ammontava l'affitto, la locazione era perfetta per noi, anche se non per il nostro scopo, ma queste erano quisquilie, e soprattutto ci piaceva. Ci piaceva la soffitta! Scendemmo quella deliziosa scala che univa o divideva il resto del mondo dal resto. Il resto non contava.

- Contate di aprire presto la vostra attività? E di cosa si tratterebbe? – stavano chiedendo le tre avide donne.

Non mi andava di far sapere i fatti miei, e tergiversai in una spiegazione confusionaria, che purtroppo è il solo modo in cui riesco davvero a farmi capire.

- Che bello! Così non sporcherete e non rovinerete niente, mi pare di capire, vero?

- Non risposi perché non capii. Meglio. Altrimenti adesso non sarei qui a raccontarvi il seguito.

E per arrivare al seguito è bene che accorci le distanze fra lo ieri e l'oggi. Ieri che si sta allontanando sempre di più. E se fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, io quel mare lo sorvolai sulle ali di un Concorde! Concordammo il tutto senza soffermarci su niente. Ovvero, io non mi soffermai su niente. Pochi giorni dopo firmai il contratto di affitto, leggendolo attentamente. Ma adesso so che la mia attenzione era molto distratta, distratta dal pensiero di quello che avrei potuto fare in soffitta. Sì, non mi soffermavo a riflettere sull'attività che ci accingevamo ad intraprendere, ma solo sul tempo libero che questa mi avrebbe lasciato. Se solo avessi avuto un barlume di presagio … una sola riga di quartina alla Nostradamus, avrei affittato direttamente da Cenerentola la sua soffitta libera! Che dopotutto sarebbe costata molto meno di quella di Lady D. o di Carolina di Monaco. Vuoi mettere?!

Nei giorni seguenti mi svegliavo all'alba. Albe freddissime di inizio dicembre. Imbacuccata in tute, felpe, cappelli di lana e sciarpe, mi recavo nei più disparati uffici dove regnava non Cenerentola e il suo Principe Azzurro, ma la Burocrazia e i suoi infiniti amanti di tutti i colori.

Mentre io, miserabile suddita, rossa dal freddo, bianca dalla stanchezza, e verde dalla rabbia, non facevo altro che redigere, firmare, faxare, telefonare, mutuare, fidare, elemosinare (le ultime tre in banca). Per non parlare del parlare! Quanto dovevo chiacchierare! E per di più arruffianarmi. Non ho mai leccato niente a nessuno, sia ben chiaro! Una volta soltanto sono arrivata a scoppiare in lacrime davanti ad una stronza che appellandomi con un “ciccina”, respingeva ogni mia magra richiesta. Ma le mie lacrime erano di rabbia per non poterle rispondere come avrei voluto. E non soltanto per le rime, come si conviene ad un poeta-mercante, ma con tutto il turpiloquio riportato dallo Zingarelli, che ogni anno si rivolge alla nostra famiglia per gli aggiornamenti in merito !

Ma lasciamo perdere. E persi anche quella volta. Un’altra battaglia dei bottoni, tutti quelli che schiacciavano gli addetti ai vari uffici incompetenti, per farmi rimbalzare da un ufficio all’altro. Chissà se esiste una malattia professionale denominata “dito dello stronzo” ?. Comunque, sul campo di battaglia, continuava la lotta. Le armi più potenti erano pennelli e vernice, che Stefania, la nostra rifornitrice ufficiale, ci riforniva, appunto, a credito. Le armi più temute erano i trapani. Gli ufficiali addetti erano addestrati alla perfezione, e ogni loro colpo andava a segno. C’era perfino chi mirava alla cieca, regalandoci perfino un sorriso di derisione, seguito dalla perdita di un altro pezzo importante della nostra armata. Vedevamo cadere le mura che noi avevamo adornato di quadri e ornamenti della più svariata natura. Non ci lasciavamo abbattere noi, però. Avevamo le nostre armi segrete. Altro che Pentagono ! Il nostro era un tetraedro ! E via, a bombardarci di tetre risate, che avevano il potere della polverina grattaiola, quella che i ragazzini usavano a carnevale per provocare il solletico. E noi, ci solleticavamo i cuori infranti ridendoci su. Non eravamo incoscienti, anzi. Consapevoli della nostra buona stella che sarebbe passata sopra le nostre teste ogni 1000 anni circa, e convinti della validità del detto Chi va piano va sano e va lontano, dimentichi che era passata solo pochi anni prima, aspettavamo. E stavamo a guardare. Anche le altre stelle ... stavano a guardare. Imperterrite. Noi, però, va detto, non andavamo piano per niente. E di sano, dopo notti trascorse a verniciare, dipingere, incollare, tappezzare, tossire, starnutire , come ossessi, non c’era rimasto molto. Ma la frenesia ci faceva dimenticare i brividi, quelli del freddo e quelli della febbre, scambiandoli per fremiti di eccitazione. Sotto i nostri occhi sbalorditi, stava nascendo il nostro negozio. Piccolo ma bello ! Diciamo carino, possiamo anche accettare un accettabile, a meno non scendiamo. Non ci svendiamo noi. E così, arrivò il momento di iniziare a vendere. Tutta quella merce doveva trovare dei proprietari. Che non fossimo noi. Ci eravamo affezionati, certo, come allevatori che si dispiacciono quando un cucciolo se ne va ... (non ci credo, ma era per fare un esempio ... ma mai prendere le misure con il proprio metro !) ma in tutta franchezza, non potevamo permetterci di tenerli tutti. I prodotti, non i cuccioli ! E così, quelli che prendono le misure con il proprio metro, cioè noi, decisero di dare il via alla festa ! E festa fu !










L’INAUGURAZIONE


Non ci facemmo mancare niente. Lucullo stesso non avrebbe avuto da ridire. Gli invitati, che avevano ricevuto eleganti biglietti in pergamena, giunsero da ogni parte. Invitati di ogni specie e sottospecie. Nella nostra lista non poteva mancare neppure uno scrittore conosciuto tramite internet, che si presentò con in mano un’oca congelata, che credo continui ad aspettare, nel frigorifero di mia sorella, di destarsi nel calduccio di un piumone svedese.

Per non parlare dell’ospite d’onore! Sarebbe davvero il caso di non parlarne, sia per la sua privacy, sia per la nostra decenza. In mancanza di un premio Nobel, ci dovemmo accontentare di un Premio Oscar.

Ci assicurò che se non avesse trovato traffico, sarebbe stato presente, ma comunque ci sarebbe stata di sicuro sua sorella . Beh, pare che a Los Angeles, quel giorno ci fosse traffico. Cose che succedono.

Successe anche che un’infiltrata, che non può mancare, altrimenti l’inaugurazione è ritenuta nulla, si rimpinzasse fino a svuotare un vassoio intero di costosi pasticcini e un altro di tartine, il tutto annaffiato con spumante centenario. L’infiltrata si guardava intorno, ruminando e rimuginando sulla scelta delle vivande. Che finimmo per servirle direttamente alla Carta!

Nel frattempo, il locale si stava riempiendo di gente. Io, Pietro e Jonathan, che sono entrambi, nell’ordine, miei nipoti, figli di mia sorella e infine fratelli, ci aggiravamo fra la gente, pavoneggiandoci senza ritegno. Il ritegno lo tenevamo in serbo per il giorno seguente e quelli a venire. Non vedevamo l’ora di battere il primo scontrino, di fare il primo pacchetto, di consigliare un cliente.

La cassa nuova fiammante troneggiava sul bancone. Erano entrambi gli oggetti più in mostra del negozio. La roba era sparsa qua e là, su mensole, ripiani, velluti e rasi. Ma quello era solo l’inizio. Solo che non lo sospettavamo neppure lontanamente.

La festa finì. Gli amici, quelli veri, restarono.

- Mah… speriamo bene… Ormai… Certo che aprire proprio dopo le feste di Natale… La zona non è molto frequentata… Non vi sembra di sentire un certo cattivo odore…? Avete belle cose, ma un poco care e non molto richieste… e così via con le pacche affettuose sulle spalle… Ma non scoraggiatevi, mi raccomando… - E ad uno ad uno se ne andavano, con la bocca piena dell’ultimo pasticcino – così stasera non ceno – e la testa che scuoteva come un metronomo.

Cosa avremmo fatto senza tutti loro? Quello che facemmo. Ce ne fregammo.

Eppure era vero tutto: la burocrazia ci aveva impedito di aprire prima, la zona, pur essendo centrale, era frequentata solo dagli abitanti del portone accanto, i proprietari del fondo. Il fondo puzzava come una fogna, che d’altra parte c’era davvero, anche se nascosta sotto un tappeto!

E la roba, le belle cose che vendevamo, non avevano neppure un nome! Si può affermare senza tema di smentita, che le avevamo inventate noi, e di conseguenza, battezzate. Dopotutto, si trattava solo di lanciarle sul mercato.

Lo facemmo!

Ci volle poco per realizzare. Il ritorno fu un trionfo!

Realizzammo, infatti, che quella roba, altro non era che una sottospecie sconosciuta di boomerang boomerangis, delle più terribili e pericolose.

Non c’era modo di disfarsene. Decidemmo di tagliarla! La mischiammo con altre sostanze, un poco meno sconosciute e misteriose. Ci affidammo ad un losco individuo che ci rimpinzava i dieci metri quadri di negozio, di elefanti in giada quasi a misura naturale, calumet della pace, zanne d’avorio da offrire sottobanco, uova di pasqua di tutti i materiali, icone di tutte le religioni. Insomma, vivevamo in una piccola casba, frequentata da individui in cerca di chissà cosa, a cominciare da se stessi. E da noi lo trovava. Il chissà cosa, ma anche se stesso! Ci dedicammo, infatti, anche alla spiritualità astrale, anche se computerizzata. Oroscopi, temi natali, carte del cielo, venivano redatti al piano superiore, dove io soggiornavo fra scartoffie ed elefanti, fra vasi del ramo bastardo della dinastia Ming, e composizioni di fiori finti di una linea lanciata anche quella sul mercato da noi!

Un famoso allenatore americano di baseball ci offrì una cifra consistente per un ingaggio, come lanciatori, ma noi rifiutammo. Preferivamo giocare in una categoria minore, ma indossando la maglia della Nazionale Italiana. Ci sentivamo più nei nostri panni, ecco.

E poi, il nostro ruolo non era ancora definito. Dentro di noi, sentivamo che anche quello di battitore, era un ruolo che non avremmo disdegnato. E infatti non disdegnammo di battere a tutte le porte. Perfino a quella di un vivaista!

E così, dopo aver lanciato e reso famosi nella strada e dintorni, i misteriosi prodotti, gli elefanti e i gatteggianti, (per sapere che cosa sono rivolgersi direttamente a noi o al losco individuo, o semplicemente al computer, che non segna in rosso la parola!), alla roba si aggiunse l’erba!

Ogni mattina presto ci recavamo al vivaio, riempivamo le bauliere e i sedili di piante fiorite e non, e riempivamo lo spazio adiacente al nostro negozio!

Erano tutti contenti, gli abitanti e la parrucchiera, e perfino la galleria d’arte, nostri vicini.

La strada era più bella, più allegra, più viva. I morti di fatica eravamo noi, che dovevamo annaffiare sotto il sole cocente, (ormai era estate), rimettere dentro e fuori, quattro volte al giorno, quei vasi pesanti, ripulire il pavimento dal terriccio, asciugarlo dall’acqua, tagliare le foglie secche. E poi, buttare via tutto. Il caldo era tremendo, e nessuno comprava, credendo che fossero lì per bellezza!

Che bello!!! Eravamo al settimo cielo. Tanto che decidemmo di regalare margherite e gerani a tutti.

Mi sentivo la Fair Lady della Strada!

E poi giunse il Luglio! E visto che eravamo e siamo a Pistoia, era un Luglio coerente, cioè Pistoiese!

Per chi non lo conoscesse, (parlo a te, fortunato lettore della Lapponia), si tratta di un lasso temporale in cui la nostra città e i suoi cittadini spariscono sotto una coltre di fumo! E quando dico fumo, intendo proprio quello, e non solo. In quei giorni, sospesi nel vuoto e nell’oblio, i protagonisti sono proprio i suoi venditori. E non si spacciano per seri commercianti, ma si limitano a spacciare. Liberamente.

E così anche noi decidemmo di darci al libero, anche se su cauzione, mercato!

Io e Pietro okkupammo lo spazio, dopo aver pagato, appunto, la cauzione. Poi ci munimmo di tavolacci e caprette, e allestimmo il banco.

Finalmente ci ero riuscita. Ero una venditrice ambulante! Non avevo tenuto conto del significato letterale della parola. Deambulavamo da mattina a notte inoltrate, per scaricare e caricare la merce, montare e smontare il banco… e… soprattutto, per issare la tenda!

Già, per la prima volta, dopo secoli di estati torride e asciutte, di lugli soffocanti, in quei tre giorni d’ambulanza, si ebbe il primo e ultimo inverno di S.Bernardino.

Durante noi, il Diluvio!

E il freddo!

Era d’obbligo una tenda per riparare la merce. Ne comprammo una, l’ultima, stile gazebo. Da montare, stile Ikea.

Il tubo numero undici doveva essere collegato al cinque, che a sua volta avrebbe dovuto sostenere i numeri dispari e pari, esclusi i numeri primi…

Ci cadde il mondo addosso, e la tenda!

Chiedemmo aiuto ad un cubano che stava bestemmiando in turco e a un turco che stava fumandosi un cubano, e che avevano montato i loro teatri-tenda in men che non si dica.

Noi dicemmo la nostra richiesta d’aiuto in inglese approssimato, in francese italianizzato e infine in italiano all’infinito, non nel senso di avverbio di tempo, ma di declinazione verbale.

Ci vergognammo di noi stessi.

Alla richiesta: - Potere aiutare noi ad alzare nostra capanna di plastica? – ci fu risposto:

- Certamente, signori, e con molto piacere. _Preferite che il vostro gazebo sia inclinato verso sud-est, in modo che all’approssimarsi del crepuscolo i prodotti esposti trovino beneficio dalla luce naturale, o invece contate sulle ore notturne e sul conseguente passaggio e passeggio della locale popolazione, in cerca di refrigerio, e quindi esporre la merce a nord, e quindi usufruire in completezza, senza ombre, della luce artificiale che certamente vi sarete premurati di…

- Cazzo, le luci! – ce n’eravamo dimenticati.

Lasciammo baracca e burattini a guardia di Jonathan, e corremmo, io e Pietro, a procurarci il necessario per illuminare la merce, prima che il tramonto la oscurasse nella sua completezza.

Io optai per le torce, Pietro per le lampade a petrolio. Il commesso del fai-da-te, si fece gli affari suoi, e ci appioppò una costosissima lampada ad energia solare, da ricaricare durante il giorno, alla gratuita luce del sole.

Piovve per tutti e tre i giorni del Festival Blues.

Piovve sulle bancarelle esotiche, piovve sui venditori di fumo, piovve sugli artisti del tatuaggio, piovve sui cartomanti e negromanti, piovve sulle canne al vento… che mugolavano mmmmm…aria….

Piovve su di noi! Piovve su di me. Che alla fine delle tre giornate di Pistoia, mi ritrovai nel letto con la broncopolmonite. Fuori la città era tornata a bruciare sotto i raggi infuocati. La mia febbre alimentava la temperatura esterna, che era identica alla mia interna, quaranta gradi.

Quando guarii, emigrammo in montagna. Ci gettammo alle spalle River… e …

ah già! La bottega, lo spaccio, si chiamava River, dalle iniziali mie e di mia sorella, anche se lei teneva la maggioranza delle quote letterarie. Le quote azionarie, invece, subivano l’andamento della borsa, quella di mia sorella, che si fidava del suo istinto e del suo bisogno, anzi, del suo fabbisogno!

Le sue entrate erano alle stelle, le nostre alle stalle. Il nostro umore era lastricato e profumava proprio come quelle stalle.

Rientrammo in città con la coda fra le gambe, la usavamo soltanto per scacciare le zanzare e la noia.

La città languiva sotto quel languore tipico dell’intervallo che separa dalle vacanze appena finite al pensiero del nuovo anno di lavoro che stava per ricominciare.

Per me, stava finendo anche l’anno a priori. Infatti, io festeggio l’anno nuovo a settembre.

Dunque… dunque… mumble…mumble…

- Anno nuovo… Vita Nuova… anzi, Vita Nova… - e mi sarebbe venuto da aggiungere Dolce Stilnovo-

Pietro mi ascoltava senza darmi ascolto, come solo lui sa fare, stravaccato su una sedia, lo sguardo perso nel vuoto, il pensiero rivolto alla bruna madonna fiorentina, che latitava.

Finsi di non accorgermi che non mi sentiva neppure, e continuai a delirare a ruota libera.

- Qual è la cosa che sappiamo fare meglio? -

- Pazzeggiare… - rispose Pietro. Era la risposta che non mi aspettavo. Dunque era attento, aveva risposto a tono. Mi feci coraggio e decisi di continuare sulla retta via che ormai avevo smarrita, e continuai ad inoltrarmi in quella selva oscura.

- E a parte quello? Non rispondermi Niente, perché non è vero, cazzo! Pensaci bene. Cos’è che abbiamo sempre fatto? Qual è la merce che conosciamo meglio di tutte? Cosa maneggiamo da mane a sera? -

- Fammi indovinare…non dirmelo… aspetta… -

- Se ci pensi, non vale, ecchecazzo! -

- Non vorrai dire… non penserai… non dirmi che… -

- E invece si! Perché no?! A te non piacerebbe? Sarebbe bello… magari cominciando con poco… per pochi… -

- E se … solo per bambini?? Ecco, bravo!!! Che idea!!! Come si fa? A chi si telefona? Da dove si comincia? -

Cominciammo a telefonare alla Mondadori. Tanto per restare nel piccolo. Ci diedero un numero privatissimo, il cellulare di un notissimo agente librario, che non lavorava nella nostra zona ma che avrebbe fatto uno strappo alla regola per noi, e che sarebbe passato di lì, guarda caso, proprio il giorno dopo… -

E così fu. Fiat Benelli. Il nostro primo incontro con un agente librario. Il primo e l’unico, in quel momento, che ci fece da Pigmalione e ci trasformò, in men che non si dica, da squallidi venditori di fumo, in cultori e portatori di cultura nel mondo dell’infanzia.

Il primo consiglio che ci diede, dopo essersi guardato intorno, fu quello di cercarci un locale un poco più ampio, appena un poco, ci tenne a dire. E se ne andò.

Avremmo dovuto riflettere, come si conviene a chi ha un briciolo di senso di responsabilità. Riflettemmo. Come degli specchi, anzi, entrammo in quelli specchi. E ci ritrovammo a conversare con il Cappellaio Matto, che saputo del nostro problema, ci presentò alla moglie del Barbiere Morto, che nonostante il dispiacere, ci affittò i locali della buonanima, promettendoci di togliere la poltrona di cuoio, il lavandino, ma non lo specchio stile liberty. Accettammo. Il locale era più piccolo dell’altro, temevamo le ire di Lord Benelli, ma l’affitto era alla nostra portata. E poi era situato in una zona più centrale, in vista, dove il passaggio era assicurato… almeno era quello che ci assicuravano la vedova e la figlia del Fu Barbiere. E fu così, che da una settimana all’altra, demmo disdetta al vecchio proprietario, adducendo poche scuse ma mille accuse. L’attacco fu la nostra miglior difesa. Insomma, ce la filammo,traslocando da un giorno all’altro, anzi, da un’ora all’altra.

Fu un trasloco facile, leggero, senza molte fatiche. Infatti vendemmo i pochi mobili, rivendendoli al mercatino dell’usato dove li avevamo comprati. Più che vendere si trattava di un conto-deposito, definizione che ancora non conoscevamo, ma che sarebbe diventata di uso comune nel nostro lessico a venire.

Della merce ci sbarazzammo rendendola ai rispettivi proprietari, che pretendevano anche di vedersi pagare le fatture. Ma come? Noi restituivamo tutto… ma pare che le cose non vadano proprio così. Come pareva che qualcosa avessimo anche venduto, dopotutto. E quel qualcosa non era stato del tutto pagato… Beh, che si arrangiassero. Noi avevamo già cambiato, nel frattempo, denominazione della Ditta, indirizzo, ecc… Non esistevamo più come River… Adesso era nata… BABA JAGA!