PISTOIA NON MERITA LA LIBRERIA BABA JAGA

La mia città non merita la mia libreria. La mia città si merita di sprofondare ancora di più nella ignoranza e nel perbenismo, nel provincialismo e nell’indifferenza ipocrita nascosta fra le pieghe di istituzioni, enti, circoli, lobby, gruppi, società anonime a delinquere… e quant’altro e di più ancora. Di meno, la mia città, ha soltanto una cosa: nessuno la conosce, nessuno sa dove si trova, le sue coordinate geografiche sono ignote ai più. E’ quello che si merita, meglio così. Se ci facciamo conoscere, ogni tanto, è soltanto per le cose più infime. Come gli ultimi avvenimenti. Avvenimenti che non credo proprio abbiano scusanti, neppure fra le istituzioni, e, lo dico senza mezzi termini, neppure fra i genitori. Genitori disattenti, indifferenti, presi dall’apparire, dal viaggiare, dall’essere al passo con i tempi… mentre il loro tempo scorre e quello dei loro figli fugge.
Non venite nella mia città, fuggite se vi ci trovate a passare… datemi retta!!!
Ah… dimenticavo, la mia città si chiama… Pistoia. Non sapete dov’è??? Meglio per voi!

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lunedì 16 marzo 2009

BABA JAGA - LA STORIA (ma prima leggi la preistoria!)

COME ERAVAMO (indovinateci... )

Se il trasloco era stato facile, visto che non avevamo niente, a parte la cassa, vuota, il seguito si dimostrò subito faticoso. Specialmente per me e Pietro. Dopotutto siamo gli acculturati di famiglia, e quindi la parte bibliotechistica ci toccava di merito.

Un merito che avrebbe dovuto farci guadagnare una medaglia, come minimo.

Dalla mattina alla sera giravamo per tutti i super, iper, extra, mercati della città e provincia, in cerca di prosecchi. Eravamo ubriachi… di stanchezza. Trasportarli, infatti, e montarli, non era proprio come bere un bicchier d’acqua… e neppure di vino, visto che si trattava, anzi si tratta, di scaffali in truciolato pressato, squarciati in assi pesantissime, da trasportare, scartare, montare, avvitare, ecc…Per i primi prosecchi, che trovavamo abbastanza facilmente, non ci perdevamo nei dettagli delle misure, ce li caricavamo in macchina, incastrandoli e incastrandoci. Pietro guidava senza vedere niente, io gli facevo da navigatore, nascosta sotto un cumulo di assi incellofanate che sporgevano dal portatagli, dai finestrini, e perfino dal tubo di scappamento sotto forma di segatura. Lasciavamo le nostre tracce come una carrozza a cavalli.

Trotta trotta facevamo la spola dal nostro negozio, che per adesso conteneva solo la nostra passione per i libri e il nostro entusiasmo. Beh, i libri sarebbero arrivati appena Mr. Benelli avesse ricevuto il via libera, l’entusiasmo intanto si stava materializzando sotto forma di sudore, lividi, graffi, e stanchezza.

Ma non c’era tempo da perdere, Natale si stava avvicinando a passi da gigante. E noi, piccoli puffi blu dalla rabbia di non farcela in tempo, lavoravamo come i sette nani e Biancaneve messi insieme. Ma otto non bastavano, assoldammo un principe, anzi una principessa. Che guarda caso passava proprio dalle parti di Pietro, e sembrava trovarle confacenti, come Pietro sembrava non disprezzare affatto il profilo panoramico della principessa.

Se prima eravamo in otto, adesso eravamo in nove. Diviso tre, fa tre, appunto. I conti tornavano. Almeno quelli. Ma il conto dei prosecchi sembrava non aver fine. Come sembrava impossibile che quei dodici metri quadri scarsi di negozio, potessero contenere così tanti metri di truciolato.



La libreria si stava sviluppando a vista d’occhio, sotto i nostri sguardi annebbiati dalla fatica, dal sudore, e dai morettini che avevamo adottato per porre fine ad una giornata di duro lavoro, o per porre fine ad una cazzata in corso. I morettini altro non erano che pinte di birra con i baffi di schiuma.

Fra prosecchi e birra, sudore e stanchezza, non ci accorgevamo del freddo che stava arrivando di nuovo. E con l’autunno arrivarono anche i libri. Che ci caddero addosso come le foglie. Un giorno aprimmo la porta del negozio e ci rendemmo conto che non avevamo imparato a contare.

Trenta milioni di vecchie e care lire di libri in scatola avevano occupato l’intera superficie calpestabile e non. Calpestandoci a vicenda, ci inoltrammo in quella cartolandia mostruosa, tutta da spacchettare, decifrare, dividere, classificare, e soprattutto imparare a conoscere!

Ci rendemmo conto della nostra ignoranza in fatto di libri per bambini appena aprimmo la prima di una serie infinita di scatoloni. Dov’erano finite le vecchie fiabe che da sempre accompagnavano la fantasia dei bambini? Dov’era Cenerentola? Scoprimmo che era andata a cena dalle sorellastre e dai cognatacci, come appunto ci indicava un libro dedicato alle ragazzine, dal titolo inquietante “Cenerentola torna a casa per cena…”. Il libro faceva parte di una collana dedicata alle bambine che orami sapevano tutto della vita… dei protagonisti delle vecchie fiabe, e ormai s’interessavano anche dei fatti degli altri... personaggi. La collana era intitolata, e dico ero perché non l’ho più sentita nominare, “… Indovina che fine ha fatto…? E ad ogni uscita si poteva sapere, finalmente, che fine avevano fatto I sette nani, Gli stivali del gatto,I materassi della principessa, (… ) ecc…

Fu così che mi convinsi di non essere stata una bambina “anormale”, perché non avevo amato troppo le fiabe classiche, ma mi ero invece buttata oltre cortina, amando spassionatamente le storie di steppe e streghe. E quindi, non fu un caso, che il nome che decisi, insieme a Pietro, di dare alla nostra nuova libreria, fu proprio Baba Jaga. Ah... la cara vecchiaccia che mi aveva fatto compagnia durante i miei brevi anni di praticantato nel regno della fantasia, infatti passai presto, molto prima degli altri bambini, al professionismo. Con la differenza abissale, che ancora non si è colmata, di



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