PISTOIA NON MERITA LA LIBRERIA BABA JAGA

La mia città non merita la mia libreria. La mia città si merita di sprofondare ancora di più nella ignoranza e nel perbenismo, nel provincialismo e nell’indifferenza ipocrita nascosta fra le pieghe di istituzioni, enti, circoli, lobby, gruppi, società anonime a delinquere… e quant’altro e di più ancora. Di meno, la mia città, ha soltanto una cosa: nessuno la conosce, nessuno sa dove si trova, le sue coordinate geografiche sono ignote ai più. E’ quello che si merita, meglio così. Se ci facciamo conoscere, ogni tanto, è soltanto per le cose più infime. Come gli ultimi avvenimenti. Avvenimenti che non credo proprio abbiano scusanti, neppure fra le istituzioni, e, lo dico senza mezzi termini, neppure fra i genitori. Genitori disattenti, indifferenti, presi dall’apparire, dal viaggiare, dall’essere al passo con i tempi… mentre il loro tempo scorre e quello dei loro figli fugge.
Non venite nella mia città, fuggite se vi ci trovate a passare… datemi retta!!!
Ah… dimenticavo, la mia città si chiama… Pistoia. Non sapete dov’è??? Meglio per voi!

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mercoledì 7 gennaio 2009

E ORA?

Ecco, la Festa è finita. Finita per chi non aspetta altro che festeggiare. Aspetta mentre si prepara per andare a lavorare, mentre sta lavorando, mentre sta uscendo da lavoro... Verrebbe da pensare che chi aspetta di trovare un lavoro, stia aspettando di festeggiare! Non il lavoro, ma l'attesa della festa. Tanto vale che smetta di cercare un lavoro e che si goda la Festa. Tanto, prima o poi, arriva per tutti. C'è sempre qualcuno pronto a farcela. E se non c'è... ci penserà Qualcun altro.
Ma la Vigilia non se la fila nessuno??? Ah... Leopardi non docet...
Allora provo a docere io, io che mi inebrio della vigilia della vigilia della vigilia... che osservo un minuto di silenzio in onore e memoria della festa, mentre questa danza sulle ore, calpestando il Tempo.
E ora è tempo di tornare al lavoro, a scuola, davanti alla televisione, al computer, dietro il telefonino, dietro le quinte di se stessi. Non più protagonisti effimeri di giorni interpretati, ad ognuno la sua parte, il suo copione. Si torna a copiare. A copiare tutti per non sentirsi al di fuori di tutto. Giocattoli rotti, avanzi di dolciumi, fondi di bottiglia, rifiuti di differenziare, regali da riciclare. E niente vigilie da festeggiare, per chi non ha pensato a rifornire la dispensa di giochi da giocare insieme, di dolci ricordi da ruminare, di messaggi in bottiglia da recuperare, aspettando l'onda sulla riva del mare che divide il dire dal fare. Si è detto e fatto di tutto, sempre le stesse cose, gli stessi gesti, incitati da chi ci vuole ad ogni costo in fila, sull'attenti e distratti da se stessi.
Bene. Tutto è bene quel che finisce. E' finita, per adesso. Ricominciamo ad aspettare la festa?
Magari anche mentre stiamo guardando il mondo morire, la guerra mangiare al nostro tavolo, la fame alzarsi da tavola prima di noi... aspettiamo la festa mentre guardiamo un bambino dormire, affrettiamo il suo risveglio per poterlo festeggiare, strappandolo ai suoi sogni. Aspettiamo la festa per andare sulla neve mentre imprechiamo per quella che cade in città. Aspettiamo la festa per andare in pizzeria con gli amici, che forse non sono così amici. Aspettiamo la festa ammazzando il tempo davanti alla televisione, festeggiano in differita o in anteprima. Aspettiamo la festa, mentre facciamo festa, e il trucco si strugge, gli anni reggono il moccolo al tempo, mentre noi ci lasciamo sedurre. Per l'abbandono c'è tempo... Sì? Ne siamo certi? Pensiamoci bene... o male. Ma pensiamoci. Pensiamoci mentre lavoriamo, e lavoriamo consapevoli di vivere, giochiamo consapevoli di far parte del gioco, facciamoci belli dietro lo specchio, consapevoli di essere lo specchio, regaliamoci un telefonino nuovo pensando prima a quanti, poi, non risponderemo. Regaliamo un gioco nuovo ai nostri figli, pensando prima se avrà qualcuno con cui giocare. Vestiamoci bene, vestiamo bene i nostri figli, spendiamo cifre assurde per un paio di scarpe, ma prima pensiamoci bene: dove vogliamo andare? E soprattuto pensiamo se siamo pronti, con tutti i nostri affanni e preoccupazioni, ad occuparci delle scarpe e dei vestiti che indossano gli altri. No? E perché, allora, credere che gli altri non abbiano altro da pensare, mentre vanno per le strade del mondo, di occuparci delle nostre scarpe, dei nostri vestiti? Se siamo belli, giovani e sani, importa soltanto a chi ha bisogno di noi. Ma c'è rimasto ancora qualcuno che ha bisogno di noi, oppure siamo scesi a patto con la nostra coscienza e abbiamo deciso che in fin dei conti, siamo indispensabili soltanto a noi stessi? Beh... forse è così. Dopotutto è quello che insegniamo ai nostri figli. Ad arrangiarsi. La Festa è finita. Per loro, purtroppo, non è mai cominciata!