PISTOIA NON MERITA LA LIBRERIA BABA JAGA

La mia città non merita la mia libreria. La mia città si merita di sprofondare ancora di più nella ignoranza e nel perbenismo, nel provincialismo e nell’indifferenza ipocrita nascosta fra le pieghe di istituzioni, enti, circoli, lobby, gruppi, società anonime a delinquere… e quant’altro e di più ancora. Di meno, la mia città, ha soltanto una cosa: nessuno la conosce, nessuno sa dove si trova, le sue coordinate geografiche sono ignote ai più. E’ quello che si merita, meglio così. Se ci facciamo conoscere, ogni tanto, è soltanto per le cose più infime. Come gli ultimi avvenimenti. Avvenimenti che non credo proprio abbiano scusanti, neppure fra le istituzioni, e, lo dico senza mezzi termini, neppure fra i genitori. Genitori disattenti, indifferenti, presi dall’apparire, dal viaggiare, dall’essere al passo con i tempi… mentre il loro tempo scorre e quello dei loro figli fugge.
Non venite nella mia città, fuggite se vi ci trovate a passare… datemi retta!!!
Ah… dimenticavo, la mia città si chiama… Pistoia. Non sapete dov’è??? Meglio per voi!

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mercoledì 18 marzo 2009

UNA MAMMA... UNA NONNA... E UN FIDANZATO

Ad attrarlo fu un alberello di natale che cominciava a cantare Jingle Bell appena qualcuno gli passava davanti. Seduto nel suo passeggino, imbacuccato ma non fino al punto di non poter ammirare la sua faccina delicata, i suoi fini e profumati capelli biondi, e quel suo sguardo azzurro come solo il cielo d'inverno sa esserlo, senza mezze misure e con quel pizzico di prepotenza che a volte ci fa chinare la testa davanti a tanto splendore. E splendido e prepotenta era lui, il piccolo tiranno biondo, che non voleva saperne di lasciare il suo posto in prima fila davanti all'aberello. Non si stancava di ascoltare il ritornello, che alle nostre orecchie risuonava atroce! Non si curava che la mamma o la nonna, alla guida della sua carrozza, tremassero di freddo o fremessero per la fretta. Per un bambino di otto mesi non esiste il tempo, se non quello che gli appartiene e che gli permette di scoprire e di scoprirsi. Io guardava, da dentro, e sorridevo. Mi innamorai di lui. Decisi che sarebbe stato il mio fidanzato. Un breve periodo di corteggiamento, che intrapresi nella maniera più subdola e ricattatoria, ma che sapevo avrebbe avuto i suoi frutti. Ed infatti, o quando lo vedevo arrivare, spegnevo l'alberello (per la delizia di tutti) e aspettavo la sua delusione. Che non tardava a manifestarsi sotto forma di nube improvvisa che oscurava tutto l'azzurro nei suoi occhi. Lo guardavo per un po', mostrandomi comprensiva, solidale con lui, mi chinavo sul passeggino e cercavo di consolarlo dicendogli che se lui avesse voluto, l'alberello avrebbe ricominciato a cantare. Al suo assenso, al rischiararsi di tutto il suo volto, senza farmene accorgere, continuando in quella specie di magia che sarebbe diventata, a poco a poco, tutta nostra, premevo l'apposito interruttore e chiedevo a quello straordinario bambino di fare un segno, di ordinare all'alberello di cantare. E lui, intelligente, acuto, e forse già in grado di accondiscendere alle stupidaggini degli adulti per soddisfare le sue esigenze, eseguiva. Un sorriso furbo e al tempo stesso così puro accompagnava il battito delle sue manine. L'alberello cominciava a danzare e a cantare. Come lui, come quel bambino. Che diventava danza e musica. Oro e lapislazzuli nei suoi capelli e nel suo sguardo. Io guardavo la mamma e la nonna. Sui loro volti si rispecchiava lo stupore di riscoprire insieme a quel loro meraviglioso bambino la magia di un tempo. Le vere bambine erano loro. Ed il loro piccolo principe tiranno era già il piccolo uomo che ormai è diventato. Fu così che conquistai il cuore del mio fidanzato, come lo chiamavo, dopo aver chiesto, si sa, la sua mano alla mamma e alla nonna. Quella mano mi fu accordata, insieme alla promessa di una visita quotidiana in libreria. E quelle visite ci furono, le promesse mantenute. Ogni mattina, accompagnato dalla nonna, il mio fidanzato arrivava, da prima in passeggino, da dove pretendeva di scendere subito e di gettarsi per terra da dove coglieva i libri dagli scaffali più basti, accatastandoli, mostrandoli a me a alla nonna, per ognuno di loro un'esclamazione diversa, un sorriso o un diniego. Cominciammo a capire i suoi gusti. E ci adeguammo. Io mi adeguai, con tanta gioia, (avere un fidanzato giovane ti obbliga a sentirti e a comportarti come giovane), a nascondermi in scatole di cartone immense, colme di polisterolo. Nevicava anche in primavera e in estate, in quella piccola libreria. C'era spazio solo per noi e per i libri. Ma quando ci si mette di mezzo la magia, tutto è possibile. Anche nascondersi nell'aria, volare su un tappeto, nuotare in un mare disegnato sulla pagina di un libro,nutrire uccellini, pesci ed elefanti di uno zoo cartonato, aiutare i porcellini a costruirsi una casa, ridere quando il lupo cade nel pentolone, ma che poi si salva, povero lupo, solo che resta con il culetto bruciato...
E poi venne Capitan Uncino e il Coccodrillo che faceva tic tic e faceva tanto ridere. Passò l'estate, il primo incontro fra il bambino e il mare, e fu amore a prima vista. Nel suo tempo senza tempo aspettava domani per tornare a giocare con le onde e la sabbia, insieme all'adorato nonno. E arrivò l'autunno, caddero le foglie e i fogli dei libri che sfogliavamo aumentavano di gionro in giorno. E i libri e le storie che mamma Giù comprava per il suo bambino divennero tante, ed ogni sera ne raccontava una nuova al suo bambino, che il mattino dopo veniva da me con nonna Brù a raccontarmi tutto, perchè adesso, il mio fidanzato era davvero grande tanto da voler leggere anche in bagno! Ero orgogliosa di lui. Poi cominciai ad essere gelosa. Mamma Bru lo portava spesso in quei posti dove i bambini si incontrano per giocare, imparare, disegnare, sporcarsi, correre, piantare fiori, costruire castelli... con la sabbia e in aria, insieme alle mamme, alle nonne e alle insegnanti. Ma sopratutto insieme alle bambine. E fu allora che il mio fidanzato si rese conto che le principesse non esistono soltanto nei libri, anzi, quelle che si incontrano fuori sono ancora più belle e più brave a giocare. E non si addormentano nei boschi, non mangiano mele avvelenate, ma ti danno la mano e fanno il girotondo insieme a te. A volte sono prepotenti, a volte ti fanno anche piangere, ma poi tutto passa. Si fa la pace e si torna a girare... pagina e giorno. E la fiaba continua. Ma la prima parte della mia finì. Ormai non ero più la sua fidanzata, anzi, guai a dirglielo. Non voleva proprio sentirselo dire. Fingevo di restarci male... e lui fingeva di crederci. Anche questo era un modo per giocare, anche se, da parte mia, la consapevolezza di non essere più la sua compagna di giochi preferita, dopo la sua famiglia, di essere stata spodestata dalla compagna di turno, mi fece capire che ogni gioco ha una fine. Ma anche un fine. E il mio l'avevo raggiunto, ne ero certa. Quel bambino sarebbe diventato un bravo scolaro, un figlio ubbidiente, un nipote dolcissimo. E così è stato.
Intanto, la piccola libreria e lui, il piccolo Luke crescevano. L'una soltanto in superficie, l'altro anche e sopratutto, nel profondo di se stesso. Libri su libri, fiabe su fiabe, personaggi su personaggi, storie su storie... costruiva la sua storia, insieme alla sua mamma e ai suoi nonni.
Una mamma come ce ne sono poche, che per il suo bambino non si stanca d'imparare ogni giorno qualcosa di nuovo da insegnargli, da condividere, da fare insieme. E i suoi nonni... una nonna sempre presente, che si è adeguata agli interessi del piccolo, ma non per dovere, per convenzione, ma proprio perchè si diverte, nonostante faccia di tutto per dimostrare il contrario. A me non la dà a bere... e neppure a Luke, che infatti si diverte un mondo a giocare con sua nonna con i giochi più moderni e impensabili. Una nonna che sa quanto mi manchino quei giorni e quanto mi manchi quel bambino, che un giorno riempiva la mia piccola libreria soltanto con il suo sguardo incantato e incantevole, e proprio per questo ogni tanto viene a raccontarmi di lui, ed io ascolto, come fosse una fiaba. E forse lo è stata. E lui è stato il primo protagonista, il personaggio più importante. Quello che ha dato il via alla mia avventura, alla mia battaglia per far sì che tutti i bambini possano avere un posto dove dimenticare, almeno per un poco, la fatica di diventare uomini e continuare a sognare di avere per sempre un cuore di bambino.
Ma chi sogna sono soltanto io... ed ogni giorni mi risveglio e mi ritrovo nell'incubo di una libreria quasi vuota. Una libreria per bambini! Come suona male, come stride con tutto il resto questa frase: UNA LIBRERIA PER BAMBINI VUOTA! Che tristezza, che malinconia... ogni speranza di un futuro in mano a uomini liberi di mente, di spirito, è destinata a morire.
Come forse accadrà a Baba Jaga. Ci sto mettendo tutta me stessa, anche di più. Quel che resta è solo un sogno. Ma anche se tutto questo finirà... sopraffatto dal consumismo, dall'apparenza, dal sembrare e ogni bambino sarà destinato ad essere, in fine, un uomo solo con quel poco di se stesso che gli resta... a me resterà sempre il ricordo di quel bambino biondo, dagli occhi di cielo e dallo sguardo deliziosamente prepotente, che si fermava incantato davanti ad un alberello di Natale, in quel Natale che era per lui e per la libreria, il primo. Altri ne seguirono... sempre belli, sì, perchè fino a che entrerà una mamma per mano al suo bambino, per scegliere un libro da leggere insieme la sera prima di dormire... forse non tutto è perduto. Non per tutti, almeno.
Grazia mamma Giù... grazie Nonna Brù... ma soprattutto grazie a te... piccolo grande uomo, che stai percorrendo le strade della vita ad occhi e mente aperta sulla realtà, che sai quello che vuoi, che a volte lo pretendi, ma che sei sempre lo stesso di allora, che sa dove andare a nascondersi quando la realtà magari pesa troppo, o quando la voglia di credere ancora nell'incanto della magia si fa avanti... e tu non ti tiri indietro ma ti nascondi e... sogni...



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